Mostra di Enzo Nenci ‘Il linguaggio della scultura’
In quanto studioso di estetica e non storico dell'arte, e nemmeno critico d'arte, non mi occuperò in questo mio intervento della formazione di Enzo Nenci come scultore, né entrerò nella diatriba relativa alla provincialità o meno della scultura di Nenci, almeno sino alla fine della seconda guerra mondiale. Si tratta, del resto, di temi che sono stati affrontati e analizzati in modo mi pare esaustivo. Mi occuperò invece di alcune questioni per così dire "di fondo", attraverso le quali – almeno spero l'opera di Nenci dovrebbe configurarsi come un'opera in grado di esibire in modo esemplare il passaggio dalla scultura tradizionale a quella moderna, intendendo per moderna la scultura quale si sviluppa da Rodin in poi. Da un punto di vista generale, mi pare di poter affermare che Enzo Nenci non ha mai abbandonato la figurazione, e anche quando, come negli ultimi decenni, sembra aver fatto propria una dimensione non-figurativa, questa, a ben vedere, si presenta come una vera e propria "genesi" o "preistoria" – per dirla con Paul Klee – della figurazione stessa. È come se il non-figurativo mostrasse i momenti preparatori, e per ciò stesso non definiti e non definitivi, di quella che si è soliti denominare "figura" in senso naturalistico. Non solo, ma questa preistoria della figurazione ci dice pure che l'opera è non la realizzazione di un' idea già formata nella mente dell'artista, bensì il portare in superficie, e quindi a visibilità, quell'invisibile che ha costituito i momenti di gestazione della figura stessa: così una tale figura, nell'opera di Nenci, si presenta non come Gestalt (figura già formata), ma come Gestaltung (figura in formazione).
Più in generale, la scultura di Nenci può essere vista come un ponte tra il visibile e l'invisibile e, in questo senso, in tale scultura è la forma, in quanto dimensione innanzitutto fisico-materiale e dunque sensibile, che svela la vita. Di qui l'importanza di sottolineare come la materia – e quindi gli elementi formali – costituisca il punto di partenza di tali produzioni artistiche. Da questo punto di vista, sottolineare la priorità e la primarietà della materia, ovvero degli elementi sensibili, significa vedere nelle opere di Nenci non qualcosa di statico, cioè di dato una volta per tutte, ma qualcosa che si dà nel tempo e che, in quanto tale, si apre a una comprensione sempre nuova e diversa. È su questa base che la scultura di Nenci rappresenta il superamento dell'idea tradizionale di scultura come statuaria ed è in particolare nelle sculture intitolate "Stalagmiti-Stalattiti" che si esprime la fase più matura, significativa e veramente moderna della sua opera. Si tratta di opere che rappresentano il punto di incontro tra vita e materia, cioè tra elemento spirituale ed elemento corporeo e quindi tra invisibile e visibile.
È questo tema geologico infatti che, tornando come un filo rosso nella sua produzione artistica, costituisce il luogo nel quale si manifesta la concezione che l'artista ha della sua scultura, e soprattutto il luogo nel quale questa mette in questione il suo essere intesa in senso tradizionale. È proprio in riferimento a questo tema geologico che arte e natura coincidono, con la conseguenza che il processo dell'arte è identico al processo della natura, come del resto aveva già messo in evidenza lo stesso Klee. E ciò deve essere inteso sia nel senso che il corpo acquista vita, separandosi progressivamente dalla natura in quanto stato roccioso-minerale, sia nel senso che quello stesso corpo ritorna a tale stato minerale – come mostra bene il Prometeo (1946), soprattutto se teniamo conto della interpretazione che della figura mitica di Prometeo ha dato Franz Kafka -; ma deve essere inteso anche nel senso che la materia ha in sé una forza (vis) che le dà vita. Questo vuoI dire che la scultura non è più qualcosa di statico, e per ciò stesso fuori dal tempo, ma è qualcosa di processuale e, in quanto tale, vive nel tempo e del tempo.
Insomma, Nenci inserisce, sì, la scultura nel tempo, ma soprattutto inserisce il tempo nella scultura. È questo, mi pare, l'aspetto più significativo della sua opera: introducendo infatti il tempo al suo interno, Nenci fa della scultura qualcosa che, non avendo mai un fine e una fine determinata, resta sempre qualcosa di costitutivamente non-finito. Ed è proprio in quanto non-finite che queste opere si inseriscono pienamente nella modernità, superando appunto quella statuaria che invece caratterizzava la scultura tradizionale dalla quale, pure, Nenci aveva preso le mosse. Per questo le sue sculture – mi riferisco soprattutto alle "Stalagmiti-Stalattiti" sembrano dar vita a qualcosa che non esiste nel nostro mondo: a quei "morti" e "non-nati" – per dirla ancora con Klee – che sono le possibilità non-realizzate e che è proprio l'arte a rendere reali.
In questo processo di antropomorfizzazione, la materia è non soltanto mera materia inorganica bensì materia animata, così come la superficie scultorea, lungi dall'essere qualcosa di inerte e senza vita, ne è invece ca-
rica, avendo in sé movimento e temporalità. Ma questo vuoI dire pure che la dimensione mitica, che non a caso attraversa l'intera produzione di Nenci rappresenta non il passato in quanto origine bensì, al di là di ogni possibile nostalgia, il passato che si dà nel presente: è un darsi "di colpo" della connessione passato-presente, che fa sì che l'opera sia nel tempo e insieme fuori dal tempo, presentandosi così come qualcosa di caduco che però è in grado di farci sentire, seppure per un momento, l'eternità. È quanto ritroviamo in quelle produzioni che mettono in scena il mito – quali, per esempio, il Ribelle (1930), Lo schiavo (1945) e il Prometeo (1946), nelle quali passato e presente fanno tutt'uno, così come fanno tutt'uno natura e cultura, corpo e spirito.
È ciò che Walter Benjamin definisce l' "aura" dell'opera: la sua capacità di restare lontana e inafferrabile per quanto vicina sia. Del resto, è proprio in quanto il passato non è origine nel senso di arché, che queste sculture non manifestano alcuna nostalgia. Il passato non si dà "prima" del presente, ma tra passato e presente si istituisce un cortocircuito tale per cui, appunto "di colpo", cogliamo insieme e l'uno e l'altro. Di qui, come si diceva, quel non-finito di Nenci quale risulta dalla tensione tra il visibile e l'invisibile, una tensione che non raggiunge mai una soluzione finale e definitiva. E di qui, anche, la drammaticità che caratterizza queste opere, drammaticità che si rivela in una inquietudine che non attende (nel senso di ad-tendere) nessuna fine. Tutto questo sottolinea con forza come il rapporto forma-materia esprima non l'opposizione di due entità ma la loro connessione, sì che la materia è già formata, vale a dire è già animata dalla forma, nel senso che la forma ha già in sé, come suo "contenuto sedimentato" – per dirla con Adorno – la materia stessa. Così la forma, in quanto materia, non che ricevere un significato dall'esterno, produce dal suo stesso interno una molteplicità di significati, e dunque di rappresentazioni, attraverso i quali noi, appunto, configuriamo e comprendiamo l'opera in modo sempre diverso. Non solo, ma le sculture di Nenci non si collocano solo nello spazio come del resto, s'è detto, non si collocano solo nel tempo – ma soprattutto producono lo spazio, attraverso un movimento circolare che sarà sempre più evidente e che, in particolare nelle "Stalagmiti-Stalattiti", si presenterà come una circolarità anche fisica.
Ora – e di questo le ultime produzioni di Nenci sono esibizioni esemplari – in una tale circolarità spazi aie si dà un tempo che si manifesta, per dirla con Nietzsche, come "eterno ritorno", nel senso appunto di un cortocircuito di temporalità ed eternità: per un momento anzi, in ogni momento – si può dare l'eternità, ovvero la totalità del senso. È a questo punto che la scultura di Nenci perde ogni definita figuratività, offrendosi cosÌ come non-figurativa. In questo processo dal figurativo al non-figurativo, la sua scultura mostra esemplarmente il passaggio da una dimensione tradizionale – statica, monumentale, statuaria, e quindi fuori dal tempo – a una dimensione moderna – non finita, non figurativa, e insieme che vive del tempo. Così, se una tale scultura rappresenta qualcosa, si tratta della rappresentazione di qualcosa di finito che nessun assoluto potrà mai redimere in infinito. Insomma, si tratta di una scultura che mette in scena una temporalità non superabile. Si può dunque affermare che non c'è nella scultura di Nenci, in particolare sempre a partire da "Stalagmiti-Stalattiti", un 'idea precostituita rispetto alla quale l'opera rappresenterebbe la realizzazione. Al contrario, l'opera si fa a mano a mano che procede ed è per questo che si dà come non-finita, vale a dire come strutturalmente temporale. In questo senso, quello che conta in tale scultura è non l'idea bensì il fare. Ed è in questo fare che si manifesta l'amore di Nenci per la manualità e la materia, o meglio le materie, tenendo conto dei diversi tipi di materia con i quali lo scultore ha lavorato.
Da questo punto di vista, ciò che la scultura di Nenci ci offre è il passaggio da un'idea pre-stabilita, ovvero da un significato pre-costituito, a un significato che invece si offre proprio attraverso gli elementi formali dell' opera, dando così luogo non a un significato unico e assoluto, bensì a una molteplicità di significati. Insomma: sono proprio gli elementi materiali di questa scultura che, lungi dall'essere in funzione di un qualche significato nascosto o più profondo, producono invece dal loro stesso interno quei molteplici significati possibili. In questo senso, Nenci scultore è il cieco veggente che fa emergere nel visibile l'invisibile. Qui infatti a essere in gioco è quel rapporto tra visibile e invisibile che caratterizza i suoi ritratti – come mostra con particolare evidenza la Testa di donna dagli occhi chiusi (1955) -, nei quali la superficie del volto è il luogo della connessione indissolubile che si stabilisce tra l'interno e l'esterno, tra la dimensione spirituale e quella corporea, e quindi tra l'invisibile e il visibile. In questo caso appare chiaro che l'elemento spirituale si manifesta attraverso il corporeo, così come – si è già detto -la super-
ficie è il luogo di manifestazione della profondità, ovvero dei molteplici significati di cui l'opera è carica.
È quanto ritroviamo, in particolare, nel Lamento d'un cieco (1927-28), rispetto al quale si può dire quello che ha scritto Joyce nell'Ulisse: "Chiudi gli occhi e vedrai". Bisogna chiudere gli occhi per vedere, quando l'atto del vedere ci rinvia a un vuoto che ci guarda e ci ri-guarda. Questo vuoI dire che noi guardiamo attraverso un vuoto, una perdita, come appare chiaramente nella scultura Il ponte (1947) che, nel suo costituire il luogo-non luogo del passaggio dal vuoto al pieno e dall'invisibile al visibile, può essere assunta come la cifra stessa dell'opera di Enzo Nenci.
ENZO NENCI nasce a Mirandola di Modena in via dell'Ospedale, il 28 aprile 1903 dal maestro di musica e compositore Giuseppe Nenci (1) e dalla contessa Giacomina Giulietti Dei (2), "una colta gentildonna che aveva coltivata con passione la pittura" (3). Nel 1907 la sua famiglia, da Mirandola, si trasferisce a Ferrara, dove Enzo frequenta le scuole primarie e secondarie, si diploma in setticlavio, partecipa come violoncellista ai concerti di musica sinfonica e operistica diretti dal padre (4), e plastica la creta. Gualtiero Medri, suo amico, direttore del Museo Civico di Ferrara, scrive che "Nel granaio della sua casa colla creta che egli coll'aiuto d'un fratello andava a procurarsi sulle rive del Volano e di soppiatto portava a casa, cominciò ad essere scultore" (5). Tra i numerosi artisti che frequentano casa Nenci, Enzo conosce Filippo De Pisis (6), Corrado Govoni (7), Giovanni Cavicchioli (8), il violoncellista Marino Mazzacurati, rapporti che accrescono in lui la passione per l'arte. Questa sua decisa predilezione lo induce ad abbandonare la musica e a interrompere gli studi tecnici, quando ormai è vicino al diploma (9), per recarsi a Firenze su consiglio del cugino della madre, lo scultore toscano Arnaldo Zocchi, per seguire i corsi di tecnica della lavorazione del marmo diretti dallo scultore Ezio Ceccarelli (10), amico di Auguste Rodin. Lo studio dei materiali lo spinge a Pietrasanta dove corrisponde fraterna amicizia col poeta di Querceta Garibaldo Alessandrini (11). Successivamente si trasferisce a Roma, ospite del cugino, conte Giuseppe Giulietti, medaglia d'oro della Grande Guerra, che lo introduce nei migliori salotti capitolini, frequenta lo studio di Arnaldo Zocchi (12), musei e i maggiori artisti della capitale. Sul finire del '24 torna nella città estense dove apre uno studio in via Del Turco, e, con le prime importanti commissioni, sposta il laboratorio nel Palazzo dei Diamanti. La sua opera assume rilievo nell'ambiente artistico quando il 1925 e il 1926 assieme ad artisti affermati (13) partecipa alle importanti mostre regionali emiliano-romagnole con opere che sono alla ricerca di una ''forma superiore di plastica, dove la materia non vale di per sè ma per quello che può esprimere" (14). Nei primi anni Trenta, insegna scultura nelle scuole Regie professionali, trasferisce lo studio nel rossettiano Palazzo Mazzucchi e sposa la nobildonna Rita Leonina Boari dalla quale nasce la figlia Giacomina. Nel 1932 soggiorna con loro a Zappolino di Castello di Serravalle, dove realizza diverse opere, e frequenta, a Case Rosse, il medico-poeta Giuseppe Lenzi (15). Poco dopo il suo matrimonio entra in crisi al momento in cui conosce la giovanissima Ida Liberali, che diventerà l'amata compagna della sua vita e gli darà cinque figli (16). Sono gli anni nei quali vive l'importante clima culturale della città estense, effuso dall'ambiente del Corriere Padano, dai collaboratori della sua terza pagina (17), partecipa a mostre assieme a Boldini, Mentessi, De Pisis, Funi, Crema, Minerbi, ecc., e nel 1932 espone alla Biennale Triveneta di Padova, mentre erige monumenti a Venezia, Ferrara, Bologna e per la Libia (18). Nel 1944 il suo ultimo atelier ferrarese, posto in una Barriera di Porta Po, è distrutto da un bombardamento, che causa la perdita di molte opere e l'annullamento della documentazione delle sue relazioni culturali. Durante gli ultimi anni di guerra s'impiega come capo-chimico allo stabilimento saccarifero di Polesella (Rovigo), e va a vivere con la famiglia a Frassinelle Polesine, dove realizza dei ritratti e alcune sculture marmoree. Al termine del conflitto bellico, si trasferisce a Ponte San Pietro di Bergamo, frequenta gli ambienti artistici di Milano, città dove dal 1931 risiedono i suoi genitori, e progetta dei modelli per le Ceramiche artistiche Borsato. Subito dopo viene richiesto come chimico d'analisi negli zuccherifici del mantovano (19); affascinato dalla città di Andrea Mantegna e di Giulio Romano, decide di abitarvi.
Il dopoguerra non risparmia fatiche economiche agli artisti, ancor più se liberi da costrizioni politiche e di docenza (20), tuttavia, Nenci in breve tempo s'inserisce nel miglior ambiente artistico locale (21); la sua scultura riprende il discorso interrotto procedendo verso una "ricerca della struttura e dell'espressione: vale a dire di una sintesi fra solidità della materia e duttilità del suo disegno" (22). Le opere del primo periodo mantovano sono accolte con considerazione, e si caratterizzano per le "tensioni fisicamente corpose, come inarcature, nodi e grumi pieni di materia, alcunchè di impulsivo e originario,jremente sotto la superficie" (23), conseguite da "una crescita dell'architettura dell'oggetto in primo piano. Perchè la stessa energia e intelligenza tecnico espressiva che è dello scultore mentre allestisce sarà dello spettatore mentre osserva, e sarà, di conseguenza, di un oggetto nello spazio e della sua consistenza" (24). Lo scultore, per il suo umanitario-anticonformismo, riscuote molta simpatia dai suoi nuovi concittadini; nascono in questi anni le prime "stalagmiti", che Luciano Caramel definisce "lavori singolari" (25) riconoscendo "tra quelli espressivamente più alti, quelli appunto dedicati e intitolati proprio alla famiglia, dando corpo, letteralmente, attraverso una materia palpitante, che si offre come fusa calata magmatica, ai vincoli, di sangue e di corrispondenza affettiva, tra genitori e figli" (26). Questa espressività avanza linearmente nel tempo con le "Stalagmiti-stalattiti", "composizioni per lo più affusolate e inerpicate, talvolta inarcate, che mimano gli effetti degli agglomerati calcarei modellati dall'acqua, quasifanghiglia accorpata, capaci di assumere aspetto di respiranti presenze" (27), nelle quali si avverte "profondamente il richiamo di quell'astrattismo sensitivo, sempre animato di una sottintesa carnalità" (28). Per realizzare "della scultura come tecnica della spiritualizzazione della materia" (29), spinto anche dal suo interesse per la filosofia, per il quale tiene rapporti d'amicizia con alcuni docenti di filosofia e psicologia delle università di Bologna, Urbino e San Marino (30). A metà degli anni '50 compone gli "Orientali", torniti nelle" enfie volumetrie bloccate" (31), e degli adolescenti e ritratti segnati da sensibile e delicata introspezione, nei quali la materia si esalta "nella resa delle superfici, nella politezza di certi volti nel controllatissimo mestiere" (32). Nei venticinque anni di Mantova, nelle sue opere riaffiorano "memorie del clima dell'adolescenza impregnata di simbolismo e futurismo, ma confiducia nuova, capace di riscattare l'essenza decorativa propria della scultura e nello stesso tempo di rompere la compattezza dell'oggetto per farvi entrare l'aria in composizioni, armoniose e ritmiche, di pieni e di vuoti" (33); opere che lo distinguono in modo personalissimo nella storia della scultura italiana del '900.
Tra i concorsi che vince, quello internazionale indetto nel 1954, per la realizzazione dell'Orfeo d'oro, premio internazionale della musica lirica (34), statuetta che verrà assegnata ad Arturo Toscanini, Giuseppe Di Stefano, Mario Del Monaco, Nicola Rossi Lemeni, Cesare Siepi, Dietrich Fischer Diskau, Dimitri Mitropulos, Wolfgang Windgassen, Bruno Walter, Maria Callas, Ebe Stignani, Renata Tebaldi, Giulietta Simionato ed Elisabeth Schwarzkopf. Nutrito è l'elenco delle mostre a cui partecipa, cosi come le sue opere pubbliche. Diverse sue sculture sono conservate in prestigiosi musei, e molte in preziose collezioni private.
Muore il lO marzo 1972 nella sua casa in Virgilio di Mantova.
A Enzo Nenci sono state curate una ventina di mostre antologiche in Musei e Gallerie pubbliche (35), presentate da eminenti storici dell'arte; le città di Mirandola, Copparo, Ferrara, Mantova e Virgilio nel riconoscere l'importanza della sua arte gli hanno dedicato il nome delle loro strade.
l) Giuseppe Nenci (Campiglia Marittima, 1865- Milano, 1950); direttore d'orchestra, (figlio di Pompeo-garibaldino-amministratore dei conti Della Gherardesca – e di Caterina Nanetti) maestro di musica e compositore" virtuoso di clarinetto e conoscitore di tutti gli strumenti afiato; si diploma in composizione alla Accademia Filarmonica di Bologna. Fu attivo come didatta e direttore di orchestra a Chiusi, Arezzo, Vicenza, Mirandola (1899-1907/ 1926-1929), Ferrara (1908- 1925), San Giacomo delle Segnate (dal "Dizionario della musica italiana per banda" Edizione ABBM, Torre Bondone (BG), 2004, pp 678-706). Sotto la sua direzione la Banda Municipale di Mirandola vinse importanti concorsi bandistici a Ferrara (1903), Rimini (1904), Milano (1906) (I due secoli della Banda di Mirandola, catalogo della mostra, 5 – 9/4-10-1998 a c. di Giacomo Gibertoni / e dello stesso, Banda, scuola e maestri di musica a Mirandola dalla fine del Settecento ai giorni nostri (Quaderni della Bassa Modenese, n° 35, anno XIII, n° l, giugno 1999, San Felice sul Panaro); diresse i 53 elementi del coro nella" Gioconda" di A. Ponchielli al Teatro Nuovo di Mirandola (I cento anni del Teatro Nuovo di Mirandola,1905-2005, a c. di Gianpaolo Ziroldi, Grafiche il Dado, Mirandola, ottobre 2005) e il concerto in memoria di G.Yerdi e R.Wagner al Teatro Comunale di Ferrara (il 13 maggio 1913 – Feasc CPS b. 54, GF), dove è direttore della Banda Musicale "L. Ariosto" che la porta a vincere concorsi nazionali tra i quali quello di Venezia del 1924 (G. Longhi, Camminfacendo … sulla mia contrada, SATE, Ferrara, 1971, pp. 137, 139). Scrisse esplicativi sulla strumentazione musicale in Psicologia degli strumenti afiato e a colpo. Loro missione in banda e in orchestra (Gazzetta Ferrarese, 19 puntate, dal 15 luglio al 5 agosto 1907).
Sua musica è stata pubblicata da Trcarlini e dalla Casa Editrice Ricordi.
2) Giacomina Giulietti Dei (Chiusi, 1878-Milano, 1950), figlia del conte Alessandro Giulietti e della nobile Elmira Dei, discendenti da ceppi d'antica nobiltà toscana. All'ufficio anagrafe di Mirandola è registrata come "possidente" per le sue proprietà di terreni che si estendevano da Chiusi a Bagni d'Orvieto.
Gualtiero Medri, Corriere Padano, 3 ottobre 1926.
Ai concerti diretti dal padre partecipavano Enzo e tre suoi fratelli; altre esibizioni musicali si svolgevano nel salotto di casa dove si riunivano artisti e altri musicisti che "davanti a l'eletto uditorio eseguivano brani di musica sinfonica e operistica" (Gazzetta Ferrarese, 23 febbraio 19l1). Le case dei Nenci a Ferrara erano ubicate al n° 186 di corso Giovecca e al n° 84 di via Borgoleoni.
5) Gualtiero Medri, Corriere Padano, 3 ottobre 1926; Il fratello di cui scrive lo studioso è Rodolfo (Mirandola, 1904); dottore in farmacia- sindacalista; scrisse dei fondamentali "Studi di politica e di diritti del lavoro – Saggi ed esperienze di sindacalismo" (Firenze, 1938- Casa Ed.Polig. Universitarià di C. Cya, pp 133); gli altri fratelli erano: Nerino (Vicenza, 1897) medico-primario; autore di diversi testi di medicina tra i quali "Sull'encefalite consecutiva alla vaccinazione antivaiolosa" (Atti dell' Accademia delle Scienze Mediche e Naturali, Ferrara, 1932) e "La salute pubblica a Ferrara nel 1932" (La Rivista di Ferrara, n012, 15 dicembre 1932, pp 23-30). Tra il 1923 e il 1934 era direttore e regista della "Compagnia Filodrammatica Forrnignanese", e metteva in scena opere del repertorio clasico e drammi moderni di Dario Nicodemi, Doroty Parker (nel suo "Cardinale" lo scultore, in veste di attore, interpretava la parte del cardinale Giovanni de' Medici / papa Leone X), Alfredo Testoni, Sabatino Lopez, ecc. (Ultimo Probo Migliorini, Rime gioiose di un mondo chefu, SATE, Ferrara, 1987); Elmira (Vicenza, 1899) professoressa d'arpa, concertista; famoso è rimasto un concerto da lei diretto con 16 arpe; Nevio (Ferrara, 1913) diploma di magistero
– dirigente nazionale delle Assicurazioni RAS; Roberto (Ferrara, 1916) – dottore in giurisprudenza e scienze politiche- direttore commerciale della Compagnia Singer Europa; direttòre di Mondo Singer; collezionista e partecipe alla vita artistica e culturale milanese che si riuniva attorno a Marco Val secchi (Luca Crippa, Roberto Crippa, Lucio Fontana, Gino Meloni, Gianni Dova, Enrico Baj, Leonardo Mariani e i Nuclearisti) , che gli dedica l'articolo "Incontro con un collezionista. Guardiamo cosa fanno in America, su Il Giorno (25 novembre 1966, p 7) ; Giancarlo (Ferrara, 1919) professore d'organo e piano-storico della musica collaboratore di diverse riviste e giornali; disperso durante la campagna di Russia con la Divisione Sforzesca.
6) Luigi Filippo Tibertelli (Filippo De Pisis) (Ferrara, 1896-Milano, 1956); la sua frequentazione di casa Nenci a Ferrara è testimoniata da un piccolo dipinto raffigurante "Arlecchino" regalato al giovanissimo scultore (ora in collezione Giacomina Nenci Carettoni, Roma).
7) Corrado Govoni (Tamara, 1884 – Lido dei Pini, Roma, 1965); lo scultore rammentava spesso le sue dizioni di poesie futuriste nel salotto della casa di corso Giovecca a Ferrara.
8) Giovanni Cavicchio li (Mirandola, MO, 1894-1964), poeta, drammaturgo; amico di Nenci e di De Pisis; nel 1932 al pittore ferrarese Cavicchioli curava la prima monografia, e a Nenci. dedicava una lirica che inseriva, poi, nella raccolta "Parole fuggitive" (Guanda, 1940); nel luglio 1962 il poeta era informato dell'indirizzo di Nenci e gli inviava il voI umetto di poesie "Cantata" con la dedica: A Enzo Nenci in ricordo d'altri tempi / forse più felici o almeno più contenti / ma se veramente / "l'arte è il nostro rifugio"/ gli antichi tempi sono ancora presenti / e il tramonto ha una sua luce d'aurora.
9) L'Istituto Tecnico Statale "Vincenzo Monti" di Ferrara, dove Enzo nell'anno scolastico 1920/21 otteneva la promozione al terzo anno di agrimensura.
IO) Ezio Ceccarelli (Montecatini Val di Pesa, 1865- Volterra, 1927), scultore Iiberty; frequentò l'Accademia di Belle Arti di Firenze e lo studio dello scultore Ulisse Cambi; partecipò a quattro edizioni della Biennale di Venezia (dal 1905 al 1910); espose a Parigi, San Pietroburgo, Monaco di Baviera, Londra, Atene, Bruxelles, Liegi, Barcellona, Dublino. Suoi i monumenti ai Caduti di Riparbella, Porto Ceresio, Montecatini Val di Cecina, Putignano, a Giuseppe Garibaldi a Massa, a Josè Gervasio Artigas a Paysandu in Uraguay, ecc.
Il) Garibaldo Alessandrini (Serravezza, 1886-Pietrasanta, 1964), poeta e traduttore in marmo; collaboratore di diversi giornali e prestigiose riviste letterarie, in stretto rapporto con Lorenzo Viani e Arturo Dazzi. L'lI marzo 1953 il poeta scriveva in una cartolina a Nenci: "il 27- 28 corrente sarò a Napoli dove parlerò in due Circoli letterari. E a Mantova non ti riesce proprio farmi venire?".
12) Arnaldo Zocchi (Firenze, 1869-Roma, 1940), scultore; autore della Vittoria Alata del Vittoriano a Roma, dei monumenti a: Giuseppe Garibaldi, Bologna, allo Zar Alessandro II, Sofia (Bulgaria), a Manuel Delgano, Genova, a Cristobal Colon, Buenos Aires, a Cristoforo Colombo, Rio De Janerio, a Piero della Francesca, Sansepolcro, a Michelangelo a Caprese, ecc.
13) Arrigo Minerbi (Ferrara, 1881- Padova, 1960), scultore, che quando vide le opere di Nenci alla Mostra Regionale del 1926, al Castello Estense di Ferrara, volle visitare lo studio del giovane scultore, rimanendo favorevolmente colpito; Galileo Cattabriga (Bondeno, 1901- 1969), Giovan Battista Crema (Ferrara, 1883- Roma, 1964), Giovanni De Vincenzi (Ferrara, 1884- Bologna, 1985), Oreste Forlani (Ferrara, 1872- 1942), Achille Funi, (Ferrara, 1890- Appiano Gentile, 1972), Adolfo Magrini (Ferrara, 1874- Milano, 1957), Alberto Pisa (Ferrara, 1864-Firenze, 1930), e gli amici scultori Giuseppe Virgili (Voghiera, 1894-Bologna, 1968), Ulderico Fabbri (Marrara, 1897-Ferrara, 1970), ecc.
Giannetto Avanzi, Pareri d'un cronista, Industrie Grafiche, Ferrara, 1926, pp 44, 45.
Giuseppe Lenzi (Bologna, 1892- 1938); medico allievo di Augusto Murri; e letterato che "sentì profondamente l'arte in tutte le sue manifestazioni e fu egli stesso poeta fine e delicato …. ". Nel suo antico palazzo di Case Rosse si riunivano intellettuali i amici che discutevano delle arti. Lenzi dedicava una lirica a Nenci pubblicata nel libro Le voci del Samoggia (Società Tipografica Faentina, Faenza, 1939, pp 63, 64, 65) nella quale evidenziava l'amore dello scultore per la poesia di Guido Gozzano: "Un grazie ed un saluto, or che ten vai,! nel mite metro di Guido Gozzano,! che ti è caro ancor se un po 'fuor di mano / spero che tu non li rifiuterai! / Il metro è adatto, perchè vai lontano / e mai più forse qui non tornarai!".
Maria Elsa (Mimmi), Giorgio, Claudio, Giancarlo, Giacomina.
Il quotidiano Corriere Padano era diretto da Nello Quilici, marito della pittrice Mimi Buzzacchi; la "Terza pagina" era diretta da Giuseppe Ravegnani, un intellettuale in rapporto con i più importanti letterati italiani e stranieri del Novecento, che otteneva la loro collaborazione. Il fratello dello scultore, Giancarlo, professore di organo e piano laureatosi all' Accademia Santa Cecilia, come storico della musica aveva iniziato a collaborarvi, quando già scriveva per il quotidiano L'Italia e per le riviste specialistiche La Domenica, e Cine-Teatro che nel giugno 1939 pubblicava un suo studio sulla moderna musica americana intitolato Ragtime.
18) I due altorilievi in marmo di Carrara in memoriam degli aviatori Francesco Baracca e Ivo Oliveti, che dovevano decorare gli omonimi Villaggi della Libia, ora sono posti uno sulla facciata dell'Istituto Statale d'Arte "P. Palma" di Massa, e l'altro su una parete interna dello stesso ateneo. La scoperta della loro collocazione è avvenuta nel 2004, in occasione della mostra dedicata allo scultore Ezio Ceccarelli al Palazzo Ducale di Massa, e pubblicati nel relativo catalogo (AA.VV., Due Scultori e un Monumento, a c. di Giuseppe Silvestri, Tipografia Bandecchi e Vivaldi, Pontedera (Pi), dicembre 2004).
19) Il lavoro di capo chimico lo svolgeva nei mesi di luglio e agosto nei laboratori d'analisi degli zuccherifici di Mantova. Sermide, Ostiglia, Cologna Veneta, e Cecina, ecc.
20) Avere quattro figli, che nel '51 diventeranno cinque, gli crea difficoltà nel trovare casa; abita in primo tempo in appartamenti ammobiliati di via Trieste e via D. Fernelli, poi trasferisce la famiglia al n° 52 di via V. da Feltre, quindi al n° 1 di via C. Volta, infine edifica una casa-studio nel comune di Virgilio.
(21) È amico del poeta e incisore Umberto Zerbinati (Valeggio sul Mincio, 1885 – Mantova, 1974), del drammaturgo Giuliano Parenti, dei pittori Vindizio Nodari Pesenti (Medole, 1879-Mantova, 1961), Alfonso Monfardini (Mantova, 1887-1965), Giordano Scaravelli (Mantova, 1908-1981), Carlo Zanfrognini (Mantova, 1897-1976) e di altri artisti ed intellettuali.
22) Antonello Trombadori, Enzo Nenci, sculture 1921-1971, catalogo della mostra, Museo Civico di Palazzo Te, Mantova, 1983, Publi-Paolini, Mantova.
Francesco Bartoli, Studiando Nenci, Gazzetta di Mantova, 21 maggio 1983, p 9.
Paolo Fossati, Enzo Nenci. La lingua della scultura, catalogo della mostra. Enzo Nenci. Sculture 1921-1958, Gallerie Comunali di Mirandola, Copparo, Virgilio. 1987, ed. Pivetti, Mirandola.
25) Luciano Caramel, Enzo Nenci, Retrospettiva, Museo Civico di Mirandola / Museo Virgliano, Pietole / Civica Galleria d' Arte moderna, Gallarate, ottobre 2003 – gennaio 2004, Publi Paolini, Mantova.
Luciano Caramel, op. cit.
Rossana Bossaglia, Nenci: le stalagmiti, catalogo della mostra Enzo Nenci. Stalagmiti-stalattiti e inediti, Museo Nazionale di Palazzo Ducale, Mantova, agosto-settembre 1990, Publi Paolini, Mantova.
Rossana Bossaglia, op.cit.
Vittorio Sgrabi, La maternità nella scultura di Enzo Nenci, catalogo della mostra Enzo Nenci. Sculture 1921-1971, Casa del Mantegna, Mantova, febbraio-marzo 1997, Publi Paolini, Mantova.
30) In prevalenza con Pacifico Montanari (direttore dell'Istituto di Filosofia alle Università di Bologna e San Marino), e Armando Benfenati (direttore dell'Istituto di Psicologia alle Università di Bologna e Urbino). 31) Giorgio Di Genova, Storia dell'Arte del '900. Generazione primo decennio, Ed. Bora, Bologna. Capitolo XIX, pp. 569, 570, 571, marzo 1997.
32) Maria Cristina Mundici, Enzo Nenci, scultore, catalogo della mostra Enzo Nenci. Sculture 1921-1958, op.cit.
33) Carlo Bertelli. Per la scultura di Enzo Nenci, catalogo della mostra Bronzi di Enzo Nenci- sculture 1945- 1956, Galleria d' Arte della Banca Popolare in piazza del Grano, Merano / Volkbank- Kunstgallerie am Kornplatz in Meran, agosto 1999, ed. Publi Paolini, Mantova.
34) Il Premio Orfeo ebbe una risonanza internazionale; se ne occuparono le più importanti testate giornalistiche italiane e straniere.
35) 1978, Chiostri no di San Romano, Ferrara; 1983, Museo Civico di Palazzo Te, Mantova; 1984, Civica Galleria d' Arte moderna, Palazzo dei Diamanti, Ferrara; 1987, Galleria Comunale, Mirandola; 1987, Galleria Comunale "O. Marchesi", Copparo; 1987, Galleria Comunale "U. Celada", Virgilio; 1990, Museo Nazionale, Palazzo Ducale, Mantova; 1997, Casa del Mantegna, Mantova; 1999, Galleria d'Arte di piazza del Grano, Merano; 2001, Museo d' Arte Moderna e Contemporanea, Gazoldo degli Ippoliti (Mn); 2002, Palazzo Pretorio, Campiglia Marittima; 2003, Museo Civico, Mirandola; 2003, Civica Galleria d'Arte Moderna, Gallarate; 2003, Museo Virgiliano, Pietole; 2005, Fashion District di Mantova; 2006, Mostra collaterale 5" mostra Arti Decorative del XX secolo, Parco Esposizioni Novegro – Milano; 2006, Mostra collaterale di II Antiquaria, Gonzaga; 2007, Palazzu Ducale, Revere.