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Riapertura della Galleria D’Arte Moderna Aroldo Bonzagni

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Il 12 dicembre 2015 riapre la Galleria d’Arte Moderna Aroldo Bonzagni con la mostra, in programma fino al 28 febbraio 2016 “LE GUERRE DI AROLDO BONZAGNI”

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Mostra di Enzo Nenci ‘Il linguaggio della scultura’

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Figuratività e non-figuratività nella scultura di Enzo Nenci di Giuseppe Di Giacomo

In quanto studioso di estetica e non storico dell'arte, e nemmeno critico d'arte, non mi occuperò in questo mio intervento della formazione di Enzo Nenci come scultore, né entrerò nella diatriba relativa alla provincialità o meno della scultura di Nenci, almeno sino alla fine della seconda guerra mondiale. Si tratta, del resto, di temi che sono stati affrontati e analizzati in modo mi pare esaustivo. Mi occuperò invece di alcune questioni per così dire "di fondo", attraverso le quali – almeno spero l'opera di Nenci dovrebbe configurarsi come un'opera in grado di esibire in modo esemplare il passaggio dalla scultura tradizionale a quella moderna, intendendo per moderna la scultura quale si sviluppa da Rodin in poi. Da un punto di vista generale, mi pare di poter affermare che Enzo Nenci non ha mai abbandonato la figurazione, e anche quando, come negli ultimi decenni, sembra aver fatto propria una dimensione non-figurativa, questa, a ben vedere, si presenta come una vera e propria "genesi" o "preistoria" – per dirla con Paul Klee – della figurazione stessa. È come se il non-figurativo mostrasse i momenti preparatori, e per ciò stesso non definiti e non definitivi, di quella che si è soliti denominare "figura" in senso naturalistico. Non solo, ma questa preistoria della figurazione ci dice pure che l'opera è non la realizzazione di un' idea già formata nella mente dell'artista, bensì il portare in superficie, e quindi a visibilità, quell'invisibile che ha costituito i momenti di gestazione della figura stessa: così una tale figura, nell'opera di Nenci, si presenta non come Gestalt (figura già formata), ma come Gestaltung (figura in formazione).
Più in generale, la scultura di Nenci può essere vista come un ponte tra il visibile e l'invisibile e, in questo senso, in tale scultura è la forma, in quanto dimensione innanzitutto fisico-materiale e dunque sensibile, che svela la vita. Di qui l'importanza di sottolineare come la materia – e quindi gli elementi formali – costituisca il punto di partenza di tali produzioni artistiche. Da questo punto di vista, sottolineare la priorità e la primarietà della materia, ovvero degli elementi sensibili, significa vedere nelle opere di Nenci non qualcosa di statico, cioè di dato una volta per tutte, ma qualcosa che si dà nel tempo e che, in quanto tale, si apre a una comprensione sempre nuova e diversa. È su questa base che la scultura di Nenci rappresenta il superamento dell'idea tradizionale di scultura come statuaria ed è in particolare nelle sculture intitolate "Stalagmiti-Stalattiti" che si esprime la fase più matura, significativa e veramente moderna della sua opera. Si tratta di opere che rappresentano il punto di incontro tra vita e materia, cioè tra elemento spirituale ed elemento corporeo e quindi tra invisibile e visibile.
È questo tema geologico infatti che, tornando come un filo rosso nella sua produzione artistica, costituisce il luogo nel quale si manifesta la concezione che l'artista ha della sua scultura, e soprattutto il luogo nel quale questa mette in questione il suo essere intesa in senso tradizionale. È proprio in riferimento a questo tema geologico che arte e natura coincidono, con la conseguenza che il processo dell'arte è identico al processo della natura, come del resto aveva già messo in evidenza lo stesso Klee. E ciò deve essere inteso sia nel senso che il corpo acquista vita, separandosi progressivamente dalla natura in quanto stato roccioso-minerale, sia nel senso che quello stesso corpo ritorna a tale stato minerale – come mostra bene il Prometeo (1946), soprattutto se teniamo conto della interpretazione che della figura mitica di Prometeo ha dato Franz Kafka -; ma deve essere inteso anche nel senso che la materia ha in sé una forza (vis) che le dà vita. Questo vuoI dire che la scultura non è più qualcosa di statico, e per ciò stesso fuori dal tempo, ma è qualcosa di processuale e, in quanto tale, vive nel tempo e del tempo.
Insomma, Nenci inserisce, sì, la scultura nel tempo, ma soprattutto inserisce il tempo nella scultura. È questo, mi pare, l'aspetto più significativo della sua opera: introducendo infatti il tempo al suo interno, Nenci fa della scultura qualcosa che, non avendo mai un fine e una fine determinata, resta sempre qualcosa di costitutivamente non-finito. Ed è proprio in quanto non-finite che queste opere si inseriscono pienamente nella modernità, superando appunto quella statuaria che invece caratterizzava la scultura tradizionale dalla quale, pure, Nenci aveva preso le mosse. Per questo le sue sculture – mi riferisco soprattutto alle "Stalagmiti-Stalattiti" sembrano dar vita a qualcosa che non esiste nel nostro mondo: a quei "morti" e "non-nati" – per dirla ancora con Klee – che sono le possibilità non-realizzate e che è proprio l'arte a rendere reali.
In questo processo di antropomorfizzazione, la materia è non soltanto mera materia inorganica bensì materia animata, così come la superficie scultorea, lungi dall'essere qualcosa di inerte e senza vita, ne è invece ca-
rica, avendo in sé movimento e temporalità. Ma questo vuoI dire pure che la dimensione mitica, che non a caso attraversa l'intera produzione di Nenci rappresenta non il passato in quanto origine bensì, al di là di ogni possibile nostalgia, il passato che si dà nel presente: è un darsi "di colpo" della connessione passato-presente, che fa sì che l'opera sia nel tempo e insieme fuori dal tempo, presentandosi così come qualcosa di caduco che però è in grado di farci sentire, seppure per un momento, l'eternità. È quanto ritroviamo in quelle produzioni che mettono in scena il mito – quali, per esempio, il Ribelle (1930), Lo schiavo (1945) e il Prometeo (1946), nelle quali passato e presente fanno tutt'uno, così come fanno tutt'uno natura e cultura, corpo e spirito.
È ciò che Walter Benjamin definisce l' "aura" dell'opera: la sua capacità di restare lontana e inafferrabile per quanto vicina sia. Del resto, è proprio in quanto il passato non è origine nel senso di arché, che queste sculture non manifestano alcuna nostalgia. Il passato non si dà "prima" del presente, ma tra passato e presente si istituisce un cortocircuito tale per cui, appunto "di colpo", cogliamo insieme e l'uno e l'altro. Di qui, come si diceva, quel non-finito di Nenci quale risulta dalla tensione tra il visibile e l'invisibile, una tensione che non raggiunge mai una soluzione finale e definitiva. E di qui, anche, la drammaticità che caratterizza queste opere, drammaticità che si rivela in una inquietudine che non attende (nel senso di ad-tendere) nessuna fine. Tutto questo sottolinea con forza come il rapporto forma-materia esprima non l'opposizione di due entità ma la loro connessione, sì che la materia è già formata, vale a dire è già animata dalla forma, nel senso che la forma ha già in sé, come suo "contenuto sedimentato" – per dirla con Adorno – la materia stessa. Così la forma, in quanto materia, non che ricevere un significato dall'esterno, produce dal suo stesso interno una molteplicità di significati, e dunque di rappresentazioni, attraverso i quali noi, appunto, configuriamo e comprendiamo l'opera in modo sempre diverso. Non solo, ma le sculture di Nenci non si collocano solo nello spazio come del resto, s'è detto, non si collocano solo nel tempo – ma soprattutto producono lo spazio, attraverso un movimento circolare che sarà sempre più evidente e che, in particolare nelle "Stalagmiti-Stalattiti", si presenterà come una circolarità anche fisica.
Ora – e di questo le ultime produzioni di Nenci sono esibizioni esemplari – in una tale circolarità spazi aie si dà un tempo che si manifesta, per dirla con Nietzsche, come "eterno ritorno", nel senso appunto di un cortocircuito di temporalità ed eternità: per un momento anzi, in ogni momento – si può dare l'eternità, ovvero la totalità del senso. È a questo punto che la scultura di Nenci perde ogni definita figuratività, offrendosi cosÌ come non-figurativa. In questo processo dal figurativo al non-figurativo, la sua scultura mostra esemplarmente il passaggio da una dimensione tradizionale – statica, monumentale, statuaria, e quindi fuori dal tempo – a una dimensione moderna – non finita, non figurativa, e insieme che vive del tempo. Così, se una tale scultura rappresenta qualcosa, si tratta della rappresentazione di qualcosa di finito che nessun assoluto potrà mai redimere in infinito. Insomma, si tratta di una scultura che mette in scena una temporalità non superabile. Si può dunque affermare che non c'è nella scultura di Nenci, in particolare sempre a partire da "Stalagmiti-Stalattiti", un 'idea precostituita rispetto alla quale l'opera rappresenterebbe la realizzazione. Al contrario, l'opera si fa a mano a mano che procede ed è per questo che si dà come non-finita, vale a dire come strutturalmente temporale. In questo senso, quello che conta in tale scultura è non l'idea bensì il fare. Ed è in questo fare che si manifesta l'amore di Nenci per la manualità e la materia, o meglio le materie, tenendo conto dei diversi tipi di materia con i quali lo scultore ha lavorato.
Da questo punto di vista, ciò che la scultura di Nenci ci offre è il passaggio da un'idea pre-stabilita, ovvero da un significato pre-costituito, a un significato che invece si offre proprio attraverso gli elementi formali dell' opera, dando così luogo non a un significato unico e assoluto, bensì a una molteplicità di significati. Insomma: sono proprio gli elementi materiali di questa scultura che, lungi dall'essere in funzione di un qualche significato nascosto o più profondo, producono invece dal loro stesso interno quei molteplici significati possibili. In questo senso, Nenci scultore è il cieco veggente che fa emergere nel visibile l'invisibile. Qui infatti a essere in gioco è quel rapporto tra visibile e invisibile che caratterizza i suoi ritratti – come mostra con particolare evidenza la Testa di donna dagli occhi chiusi (1955) -, nei quali la superficie del volto è il luogo della connessione indissolubile che si stabilisce tra l'interno e l'esterno, tra la dimensione spirituale e quella corporea, e quindi tra l'invisibile e il visibile. In questo caso appare chiaro che l'elemento spirituale si manifesta attraverso il corporeo, così come – si è già detto -la super-
ficie è il luogo di manifestazione della profondità, ovvero dei molteplici significati di cui l'opera è carica.
È quanto ritroviamo, in particolare, nel Lamento d'un cieco (1927-28), rispetto al quale si può dire quello che ha scritto Joyce nell'Ulisse: "Chiudi gli occhi e vedrai". Bisogna chiudere gli occhi per vedere, quando l'atto del vedere ci rinvia a un vuoto che ci guarda e ci ri-guarda. Questo vuoI dire che noi guardiamo attraverso un vuoto, una perdita, come appare chiaramente nella scultura Il ponte (1947) che, nel suo costituire il luogo-non luogo del passaggio dal vuoto al pieno e dall'invisibile al visibile, può essere assunta come la cifra stessa dell'opera di Enzo Nenci.

 

ENZO NENCI nasce a Mirandola di Modena in via dell'Ospedale, il 28 aprile 1903 dal maestro di musica e compositore Giuseppe Nenci (1) e dalla contessa Giacomina Giulietti Dei (2), "una colta gentildonna che aveva coltivata con passione la pittura" (3). Nel 1907 la sua famiglia, da Mirandola, si trasferisce a Ferrara, dove Enzo frequenta le scuole primarie e secondarie, si diploma in setticlavio, partecipa come violoncellista ai concerti di musica sinfonica e operistica diretti dal padre (4), e plastica la creta. Gualtiero Medri, suo amico, direttore del Museo Civico di Ferrara, scrive che "Nel granaio della sua casa colla creta che egli coll'aiuto d'un fratello andava a procurarsi sulle rive del Volano e di soppiatto portava a casa, cominciò ad essere scultore" (5). Tra i numerosi artisti che frequentano casa Nenci, Enzo conosce Filippo De Pisis (6), Corrado Govoni (7), Giovanni Cavicchioli (8), il violoncellista Marino Mazzacurati, rapporti che accrescono in lui la passione per l'arte. Questa sua decisa predilezione lo induce ad abbandonare la musica e a interrompere gli studi tecnici, quando ormai è vicino al diploma (9), per recarsi a Firenze su consiglio del cugino della madre, lo scultore toscano Arnaldo Zocchi, per seguire i corsi di tecnica della lavorazione del marmo diretti dallo scultore Ezio Ceccarelli (10), amico di Auguste Rodin. Lo studio dei materiali lo spinge a Pietrasanta dove corrisponde fraterna amicizia col poeta di Querceta Garibaldo Alessandrini (11). Successivamente si trasferisce a Roma, ospite del cugino, conte Giuseppe Giulietti, medaglia d'oro della Grande Guerra, che lo introduce nei migliori salotti capitolini, frequenta lo studio di Arnaldo Zocchi (12), musei e i maggiori artisti della capitale. Sul finire del '24 torna nella città estense dove apre uno studio in via Del Turco, e, con le prime importanti commissioni, sposta il laboratorio nel Palazzo dei Diamanti. La sua opera assume rilievo nell'ambiente artistico quando il 1925 e il 1926 assieme ad artisti affermati (13) partecipa alle importanti mostre regionali emiliano-romagnole con opere che sono alla ricerca di una ''forma superiore di plastica, dove la materia non vale di per sè ma per quello che può esprimere" (14). Nei primi anni Trenta, insegna scultura nelle scuole Regie professionali, trasferisce lo studio nel rossettiano Palazzo Mazzucchi e sposa la nobildonna Rita Leonina Boari dalla quale nasce la figlia Giacomina. Nel 1932 soggiorna con loro a Zappolino di Castello di Serravalle, dove realizza diverse opere, e frequenta, a Case Rosse, il medico-poeta Giuseppe Lenzi (15). Poco dopo il suo matrimonio entra in crisi al momento in cui conosce la giovanissima Ida Liberali, che diventerà l'amata compagna della sua vita e gli darà cinque figli (16). Sono gli anni nei quali vive l'importante clima culturale della città estense, effuso dall'ambiente del Corriere Padano, dai collaboratori della sua terza pagina (17), partecipa a mostre assieme a Boldini, Mentessi, De Pisis, Funi, Crema, Minerbi, ecc., e nel 1932 espone alla Biennale Triveneta di Padova, mentre erige monumenti a Venezia, Ferrara, Bologna e per la Libia (18). Nel 1944 il suo ultimo atelier ferrarese, posto in una Barriera di Porta Po, è distrutto da un bombardamento, che causa la perdita di molte opere e l'annullamento della documentazione delle sue relazioni culturali. Durante gli ultimi anni di guerra s'impiega come capo-chimico allo stabilimento saccarifero di Polesella (Rovigo), e va a vivere con la famiglia a Frassinelle Polesine, dove realizza dei ritratti e alcune sculture marmoree. Al termine del conflitto bellico, si trasferisce a Ponte San Pietro di Bergamo, frequenta gli ambienti artistici di Milano, città dove dal 1931 risiedono i suoi genitori, e progetta dei modelli per le Ceramiche artistiche Borsato. Subito dopo viene richiesto come chimico d'analisi negli zuccherifici del mantovano (19); affascinato dalla città di Andrea Mantegna e di Giulio Romano, decide di abitarvi.
Il dopoguerra non risparmia fatiche economiche agli artisti, ancor più se liberi da costrizioni politiche e di docenza (20), tuttavia, Nenci in breve tempo s'inserisce nel miglior ambiente artistico locale (21); la sua scultura riprende il discorso interrotto procedendo verso una "ricerca della struttura e dell'espressione: vale a dire di una sintesi fra solidità della materia e duttilità del suo disegno" (22). Le opere del primo periodo mantovano sono accolte con considerazione, e si caratterizzano per le "tensioni fisicamente corpose, come inarcature, nodi e grumi pieni di materia, alcunchè di impulsivo e originario,jremente sotto la superficie" (23), conseguite da "una crescita dell'architettura dell'oggetto in primo piano. Perchè la stessa energia e intelligenza tecnico espressiva che è dello scultore mentre allestisce sarà dello spettatore mentre osserva, e sarà, di conseguenza, di un oggetto nello spazio e della sua consistenza" (24). Lo scultore, per il suo umanitario-anticonformismo, riscuote molta simpatia dai suoi nuovi concittadini; nascono in questi anni le prime "stalagmiti", che Luciano Caramel definisce "lavori singolari" (25) riconoscendo "tra quelli espressivamente più alti, quelli appunto dedicati e intitolati proprio alla famiglia, dando corpo, letteralmente, attraverso una materia palpitante, che si offre come fusa calata magmatica, ai vincoli, di sangue e di corrispondenza affettiva, tra genitori e figli" (26). Questa espressività avanza linearmente nel tempo con le "Stalagmiti-stalattiti", "composizioni per lo più affusolate e inerpicate, talvolta inarcate, che mimano gli effetti degli agglomerati calcarei modellati dall'acqua, quasifanghiglia accorpata, capaci di assumere aspetto di respiranti presenze" (27), nelle quali si avverte "profondamente il richiamo di quell'astrattismo sensitivo, sempre animato di una sottintesa carnalità" (28). Per realizzare "della scultura come tecnica della spiritualizzazione della materia" (29), spinto anche dal suo interesse per la filosofia, per il quale tiene rapporti d'amicizia con alcuni docenti di filosofia e psicologia delle università di Bologna, Urbino e San Marino (30). A metà degli anni '50 compone gli "Orientali", torniti nelle" enfie volumetrie bloccate" (31), e degli adolescenti e ritratti segnati da sensibile e delicata introspezione, nei quali la materia si esalta "nella resa delle superfici, nella politezza di certi volti nel controllatissimo mestiere" (32). Nei venticinque anni di Mantova, nelle sue opere riaffiorano "memorie del clima dell'adolescenza impregnata di simbolismo e futurismo, ma confiducia nuova, capace di riscattare l'essenza decorativa propria della scultura e nello stesso tempo di rompere la compattezza dell'oggetto per farvi entrare l'aria in composizioni, armoniose e ritmiche, di pieni e di vuoti" (33); opere che lo distinguono in modo personalissimo nella storia della scultura italiana del '900.
Tra i concorsi che vince, quello internazionale indetto nel 1954, per la realizzazione dell'Orfeo d'oro, premio internazionale della musica lirica (34), statuetta che verrà assegnata ad Arturo Toscanini, Giuseppe Di Stefano, Mario Del Monaco, Nicola Rossi Lemeni, Cesare Siepi, Dietrich Fischer Diskau, Dimitri Mitropulos, Wolfgang Windgassen, Bruno Walter, Maria Callas, Ebe Stignani, Renata Tebaldi, Giulietta Simionato ed Elisabeth Schwarzkopf. Nutrito è l'elenco delle mostre a cui partecipa, cosi come le sue opere pubbliche. Diverse sue sculture sono conservate in prestigiosi musei, e molte in preziose collezioni private.
Muore il lO marzo 1972 nella sua casa in Virgilio di Mantova.
A Enzo Nenci sono state curate una ventina di mostre antologiche in Musei e Gallerie pubbliche (35), presentate da eminenti storici dell'arte; le città di Mirandola, Copparo, Ferrara, Mantova e Virgilio nel riconoscere l'importanza della sua arte gli hanno dedicato il nome delle loro strade.

l) Giuseppe Nenci (Campiglia Marittima, 1865- Milano, 1950); direttore d'orchestra, (figlio di Pompeo-garibaldino-amministratore dei conti Della Gherardesca – e di Caterina Nanetti) maestro di musica e compositore" virtuoso di clarinetto e conoscitore di tutti gli strumenti afiato; si diploma in composizione alla Accademia Filarmonica di Bologna. Fu attivo come didatta e direttore di orchestra a Chiusi, Arezzo, Vicenza, Mirandola (1899-1907/ 1926-1929), Ferrara (1908- 1925), San Giacomo delle Segnate (dal "Dizionario della musica italiana per banda" Edizione ABBM, Torre Bondone (BG), 2004, pp 678-706). Sotto la sua direzione la Banda Municipale di Mirandola vinse importanti concorsi bandistici a Ferrara (1903), Rimini (1904), Milano (1906) (I due secoli della Banda di Mirandola, catalogo della mostra, 5 – 9/4-10-1998 a c. di Giacomo Gibertoni / e dello stesso, Banda, scuola e maestri di musica a Mirandola dalla fine del Settecento ai giorni nostri (Quaderni della Bassa Modenese, n° 35, anno XIII, n° l, giugno 1999, San Felice sul Panaro); diresse i 53 elementi del coro nella" Gioconda" di A. Ponchielli al Teatro Nuovo di Mirandola (I cento anni del Teatro Nuovo di Mirandola,1905-2005, a c. di Gianpaolo Ziroldi, Grafiche il Dado, Mirandola, ottobre 2005) e il concerto in memoria di G.Yerdi e R.Wagner al Teatro Comunale di Ferrara (il 13 maggio 1913 – Feasc CPS b. 54, GF), dove è direttore della Banda Musicale "L. Ariosto" che la porta a vincere concorsi nazionali tra i quali quello di Venezia del 1924 (G. Longhi, Camminfacendo … sulla mia contrada, SATE, Ferrara, 1971, pp. 137, 139). Scrisse esplicativi sulla strumentazione musicale in Psicologia degli strumenti afiato e a colpo. Loro missione in banda e in orchestra (Gazzetta Ferrarese, 19 puntate, dal 15 luglio al 5 agosto 1907).
Sua musica è stata pubblicata da Trcarlini e dalla Casa Editrice Ricordi.
2) Giacomina Giulietti Dei (Chiusi, 1878-Milano, 1950), figlia del conte Alessandro Giulietti e della nobile Elmira Dei, discendenti da ceppi d'antica nobiltà toscana. All'ufficio anagrafe di Mirandola è registrata come "possidente" per le sue proprietà di terreni che si estendevano da Chiusi a Bagni d'Orvieto.
Gualtiero Medri, Corriere Padano, 3 ottobre 1926.
Ai concerti diretti dal padre partecipavano Enzo e tre suoi fratelli; altre esibizioni musicali si svolgevano nel salotto di casa dove si riunivano artisti e altri musicisti che "davanti a l'eletto uditorio eseguivano brani di musica sinfonica e operistica" (Gazzetta Ferrarese, 23 febbraio 19l1). Le case dei Nenci a Ferrara erano ubicate al n° 186 di corso Giovecca e al n° 84 di via Borgoleoni.
5) Gualtiero Medri, Corriere Padano, 3 ottobre 1926; Il fratello di cui scrive lo studioso è Rodolfo (Mirandola, 1904); dottore in farmacia- sindacalista; scrisse dei fondamentali "Studi di politica e di diritti del lavoro – Saggi ed esperienze di sindacalismo" (Firenze, 1938- Casa Ed.Polig. Universitarià di C. Cya, pp 133); gli altri fratelli erano: Nerino (Vicenza, 1897) medico-primario; autore di diversi testi di medicina tra i quali "Sull'encefalite consecutiva alla vaccinazione antivaiolosa" (Atti dell' Accademia delle Scienze Mediche e Naturali, Ferrara, 1932) e "La salute pubblica a Ferrara nel 1932" (La Rivista di Ferrara, n012, 15 dicembre 1932, pp 23-30). Tra il 1923 e il 1934 era direttore e regista della "Compagnia Filodrammatica Forrnignanese", e metteva in scena opere del repertorio clasico e drammi moderni di Dario Nicodemi, Doroty Parker (nel suo "Cardinale" lo scultore, in veste di attore, interpretava la parte del cardinale Giovanni de' Medici / papa Leone X), Alfredo Testoni, Sabatino Lopez, ecc. (Ultimo Probo Migliorini, Rime gioiose di un mondo chefu, SATE, Ferrara, 1987); Elmira (Vicenza, 1899) professoressa d'arpa, concertista; famoso è rimasto un concerto da lei diretto con 16 arpe; Nevio (Ferrara, 1913) diploma di magistero
– dirigente nazionale delle Assicurazioni RAS; Roberto (Ferrara, 1916) – dottore in giurisprudenza e scienze politiche- direttore commerciale della Compagnia Singer Europa; direttòre di Mondo Singer; collezionista e partecipe alla vita artistica e culturale milanese che si riuniva attorno a Marco Val secchi (Luca Crippa, Roberto Crippa, Lucio Fontana, Gino Meloni, Gianni Dova, Enrico Baj, Leonardo Mariani e i Nuclearisti) , che gli dedica l'articolo "Incontro con un collezionista. Guardiamo cosa fanno in America, su Il Giorno (25 novembre 1966, p 7) ; Giancarlo (Ferrara, 1919) professore d'organo e piano-storico della musica collaboratore di diverse riviste e giornali; disperso durante la campagna di Russia con la Divisione Sforzesca.
6) Luigi Filippo Tibertelli (Filippo De Pisis) (Ferrara, 1896-Milano, 1956); la sua frequentazione di casa Nenci a Ferrara è testimoniata da un piccolo dipinto raffigurante "Arlecchino" regalato al giovanissimo scultore (ora in collezione Giacomina Nenci Carettoni, Roma).
7) Corrado Govoni (Tamara, 1884 – Lido dei Pini, Roma, 1965); lo scultore rammentava spesso le sue dizioni di poesie futuriste nel salotto della casa di corso Giovecca a Ferrara.
8) Giovanni Cavicchio li (Mirandola, MO, 1894-1964), poeta, drammaturgo; amico di Nenci e di De Pisis; nel 1932 al pittore ferrarese Cavicchioli curava la prima monografia, e a Nenci. dedicava una lirica che inseriva, poi, nella raccolta "Parole fuggitive" (Guanda, 1940); nel luglio 1962 il poeta era informato dell'indirizzo di Nenci e gli inviava il voI umetto di poesie "Cantata" con la dedica: A Enzo Nenci in ricordo d'altri tempi / forse più felici o almeno più contenti / ma se veramente / "l'arte è il nostro rifugio"/ gli antichi tempi sono ancora presenti / e il tramonto ha una sua luce d'aurora.
9) L'Istituto Tecnico Statale "Vincenzo Monti" di Ferrara, dove Enzo nell'anno scolastico 1920/21 otteneva la promozione al terzo anno di agrimensura.
IO) Ezio Ceccarelli (Montecatini Val di Pesa, 1865- Volterra, 1927), scultore Iiberty; frequentò l'Accademia di Belle Arti di Firenze e lo studio dello scultore Ulisse Cambi; partecipò a quattro edizioni della Biennale di Venezia (dal 1905 al 1910); espose a Parigi, San Pietroburgo, Monaco di Baviera, Londra, Atene, Bruxelles, Liegi, Barcellona, Dublino. Suoi i monumenti ai Caduti di Riparbella, Porto Ceresio, Montecatini Val di Cecina, Putignano, a Giuseppe Garibaldi a Massa, a Josè Gervasio Artigas a Paysandu in Uraguay, ecc.
Il) Garibaldo Alessandrini (Serravezza, 1886-Pietrasanta, 1964), poeta e traduttore in marmo; collaboratore di diversi giornali e prestigiose riviste letterarie, in stretto rapporto con Lorenzo Viani e Arturo Dazzi. L'lI marzo 1953 il poeta scriveva in una cartolina a Nenci: "il 27- 28 corrente sarò a Napoli dove parlerò in due Circoli letterari. E a Mantova non ti riesce proprio farmi venire?".
12) Arnaldo Zocchi (Firenze, 1869-Roma, 1940), scultore; autore della Vittoria Alata del Vittoriano a Roma, dei monumenti a: Giuseppe Garibaldi, Bologna, allo Zar Alessandro II, Sofia (Bulgaria), a Manuel Delgano, Genova, a Cristobal Colon, Buenos Aires, a Cristoforo Colombo, Rio De Janerio, a Piero della Francesca, Sansepolcro, a Michelangelo a Caprese, ecc.
13) Arrigo Minerbi (Ferrara, 1881- Padova, 1960), scultore, che quando vide le opere di Nenci alla Mostra Regionale del 1926, al Castello Estense di Ferrara, volle visitare lo studio del giovane scultore, rimanendo favorevolmente colpito; Galileo Cattabriga (Bondeno, 1901- 1969), Giovan Battista Crema (Ferrara, 1883- Roma, 1964), Giovanni De Vincenzi (Ferrara, 1884- Bologna, 1985), Oreste Forlani (Ferrara, 1872- 1942), Achille Funi, (Ferrara, 1890- Appiano Gentile, 1972), Adolfo Magrini (Ferrara, 1874- Milano, 1957), Alberto Pisa (Ferrara, 1864-Firenze, 1930), e gli amici scultori Giuseppe Virgili (Voghiera, 1894-Bologna, 1968), Ulderico Fabbri (Marrara, 1897-Ferrara, 1970), ecc.
Giannetto Avanzi, Pareri d'un cronista, Industrie Grafiche, Ferrara, 1926, pp 44, 45.
Giuseppe Lenzi (Bologna, 1892- 1938); medico allievo di Augusto Murri; e letterato che "sentì profondamente l'arte in tutte le sue manifestazioni e fu egli stesso poeta fine e delicato …. ". Nel suo antico palazzo di Case Rosse si riunivano intellettuali i amici che discutevano delle arti. Lenzi dedicava una lirica a Nenci pubblicata nel libro Le voci del Samoggia (Società Tipografica Faentina, Faenza, 1939, pp 63, 64, 65) nella quale evidenziava l'amore dello scultore per la poesia di Guido Gozzano: "Un grazie ed un saluto, or che ten vai,! nel mite metro di Guido Gozzano,! che ti è caro ancor se un po 'fuor di mano / spero che tu non li rifiuterai! / Il metro è adatto, perchè vai lontano / e mai più forse qui non tornarai!".
Maria Elsa (Mimmi), Giorgio, Claudio, Giancarlo, Giacomina.
Il quotidiano Corriere Padano era diretto da Nello Quilici, marito della pittrice Mimi Buzzacchi; la "Terza pagina" era diretta da Giuseppe Ravegnani, un intellettuale in rapporto con i più importanti letterati italiani e stranieri del Novecento, che otteneva la loro collaborazione. Il fratello dello scultore, Giancarlo, professore di organo e piano laureatosi all' Accademia Santa Cecilia, come storico della musica aveva iniziato a collaborarvi, quando già scriveva per il quotidiano L'Italia e per le riviste specialistiche La Domenica, e Cine-Teatro che nel giugno 1939 pubblicava un suo studio sulla moderna musica americana intitolato Ragtime.
18) I due altorilievi in marmo di Carrara in memoriam degli aviatori Francesco Baracca e Ivo Oliveti, che dovevano decorare gli omonimi Villaggi della Libia, ora sono posti uno sulla facciata dell'Istituto Statale d'Arte "P. Palma" di Massa, e l'altro su una parete interna dello stesso ateneo. La scoperta della loro collocazione è avvenuta nel 2004, in occasione della mostra dedicata allo scultore Ezio Ceccarelli al Palazzo Ducale di Massa, e pubblicati nel relativo catalogo (AA.VV., Due Scultori e un Monumento, a c. di Giuseppe Silvestri, Tipografia Bandecchi e Vivaldi, Pontedera (Pi), dicembre 2004).
19) Il lavoro di capo chimico lo svolgeva nei mesi di luglio e agosto nei laboratori d'analisi degli zuccherifici di Mantova. Sermide, Ostiglia, Cologna Veneta, e Cecina, ecc.
20) Avere quattro figli, che nel '51 diventeranno cinque, gli crea difficoltà nel trovare casa; abita in primo tempo in appartamenti ammobiliati di via Trieste e via D. Fernelli, poi trasferisce la famiglia al n° 52 di via V. da Feltre, quindi al n° 1 di via C. Volta, infine edifica una casa-studio nel comune di Virgilio.
(21) È amico del poeta e incisore Umberto Zerbinati (Valeggio sul Mincio, 1885 – Mantova, 1974), del drammaturgo Giuliano Parenti, dei pittori Vindizio Nodari Pesenti (Medole, 1879-Mantova, 1961), Alfonso Monfardini (Mantova, 1887-1965), Giordano Scaravelli (Mantova, 1908-1981), Carlo Zanfrognini (Mantova, 1897-1976) e di altri artisti ed intellettuali.
22) Antonello Trombadori, Enzo Nenci, sculture 1921-1971, catalogo della mostra, Museo Civico di Palazzo Te, Mantova, 1983, Publi-Paolini, Mantova.
Francesco Bartoli, Studiando Nenci, Gazzetta di Mantova, 21 maggio 1983, p 9.
Paolo Fossati, Enzo Nenci. La lingua della scultura, catalogo della mostra. Enzo Nenci. Sculture 1921-1958, Gallerie Comunali di Mirandola, Copparo, Virgilio. 1987, ed. Pivetti, Mirandola.
25) Luciano Caramel, Enzo Nenci, Retrospettiva, Museo Civico di Mirandola / Museo Virgliano, Pietole / Civica Galleria d' Arte moderna, Gallarate, ottobre 2003 – gennaio 2004, Publi Paolini, Mantova.
Luciano Caramel, op. cit.
Rossana Bossaglia, Nenci: le stalagmiti, catalogo della mostra Enzo Nenci. Stalagmiti-stalattiti e inediti, Museo Nazionale di Palazzo Ducale, Mantova, agosto-settembre 1990, Publi Paolini, Mantova.
Rossana Bossaglia, op.cit.
Vittorio Sgrabi, La maternità nella scultura di Enzo Nenci, catalogo della mostra Enzo Nenci. Sculture 1921-1971, Casa del Mantegna, Mantova, febbraio-marzo 1997, Publi Paolini, Mantova.
30) In prevalenza con Pacifico Montanari (direttore dell'Istituto di Filosofia alle Università di Bologna e San Marino), e Armando Benfenati (direttore dell'Istituto di Psicologia alle Università di Bologna e Urbino). 31) Giorgio Di Genova, Storia dell'Arte del '900. Generazione primo decennio, Ed. Bora, Bologna. Capitolo XIX, pp. 569, 570, 571, marzo 1997.
32) Maria Cristina Mundici, Enzo Nenci, scultore, catalogo della mostra Enzo Nenci. Sculture 1921-1958, op.cit.
33) Carlo Bertelli. Per la scultura di Enzo Nenci, catalogo della mostra Bronzi di Enzo Nenci- sculture 1945- 1956, Galleria d' Arte della Banca Popolare in piazza del Grano, Merano / Volkbank- Kunstgallerie am Kornplatz in Meran, agosto 1999, ed. Publi Paolini, Mantova.
34) Il Premio Orfeo ebbe una risonanza internazionale; se ne occuparono le più importanti testate giornalistiche italiane e straniere.
35) 1978, Chiostri no di San Romano, Ferrara; 1983, Museo Civico di Palazzo Te, Mantova; 1984, Civica Galleria d' Arte moderna, Palazzo dei Diamanti, Ferrara; 1987, Galleria Comunale, Mirandola; 1987, Galleria Comunale "O. Marchesi", Copparo; 1987, Galleria Comunale "U. Celada", Virgilio; 1990, Museo Nazionale, Palazzo Ducale, Mantova; 1997, Casa del Mantegna, Mantova; 1999, Galleria d'Arte di piazza del Grano, Merano; 2001, Museo d' Arte Moderna e Contemporanea, Gazoldo degli Ippoliti (Mn); 2002, Palazzo Pretorio, Campiglia Marittima; 2003, Museo Civico, Mirandola; 2003, Civica Galleria d'Arte Moderna, Gallarate; 2003, Museo Virgiliano, Pietole; 2005, Fashion District di Mantova; 2006, Mostra collaterale 5" mostra Arti Decorative del XX secolo, Parco Esposizioni Novegro – Milano; 2006, Mostra collaterale di II Antiquaria, Gonzaga; 2007, Palazzu Ducale, Revere.
 

 





Mostra ‘Piastre dell’illusione’ di Mario Giovanetti

Mostra "Piastre dell'illusione" di Mario Giovanetti fino al 13 dicembre 2009

Piastre dell'illusione
L’inquietudine genera fantasie e alimenta illusioni che determinano attrazioni verso le diversità. Per Mario Giovanetti l’arte è un processo di revisione della nostra idea della realtà. Come far cadere la barriera fra interno ed esterno, come eludere ogni forma di imposizione e di precostituito? A volte l’artista dice di volersi imbarcare su un'astronave capitanata da un illusionista per trasferire le proprie suggestioni in luoghi ogni volta più imprevedibili, in angoli permanenti e al tempo stesso transitori. Per questo fantastica, rincorre visioni di siti dove non ha mai messo piede mentre con la materia e i colori pensa di attraversare la terra per descrivere il cielo, di sbarcare sulla luna e inventariare frammenti di tempo sparpagliati sulla superficie del Mare della Tranquillità, di declinare sul volto butterato di un mondo dagli oscuri riflessi l’altra faccia delle cose, ciò che nella realtà è rappresentato dalla magia, ovvero l'energia nascosta che si cela in ogni realtà. Oppure, trasvola le aree del fantastico per svolgere una particolare versione dei sogni, come quelli che hanno spinto Joan Mirò a raccogliere in una cornice di legno l'immensità delle costellazioni, il pulviscolo
chimerico delle pleiadi, quei dettati emotivi trascritti con la complicità del silenzio o seguendo ombre sui muri, ombre di una favola breve, diceva Goethe, ineffabili istanti di un inconoscibile che separa e unisce.
Una meticolosità visionaria, un vertiginoso gioco combinatorio, un sentimento che si sviluppa solo se manovrato dai fili dell'imprevisto, quasi un ossimoro stabilizzato al centro di una ragionata periferia del pensiero. Insediato all'incrocio delle ombre e dei residui di desiderio, Giovanetti continua a raccontare se stesso e ciò che immagina con l'intensità alchemica di un esercizio che si accompagna a memorie e abbandoni, praticamente un'evasione dal discrimine fra vero e illusione. Difficilmente collocabile in uno specifico ambito, il fare dell'artista bolognese è riconducibile ad ampie letture e a ricerche rivolte soprattutto alle avanguardie storiche. Registrate su rilievi bidimensionali o in coaguli pittoscultorei, le sue sensazioni appaiono impresse in un dettato poliverso, frutto di libere interpretazioni di maestri a lui più congeniali.
Da una semplificazione prossima all'astrattismo alle pulsioni dell'informe, dalle incursioni nell'irreale all'interesse per quanto riguarda il valore del gesto e delle tecniche primitive. Quindi, stratificazioni geologiche con agganci a ritrovamenti di tipo "dada", riflessi di poetiche alla Dubuffet, inconscio e surreale, l'associazione di elementi senza rapporto logico tra loro eppure capaci di produrre, nel loro straniante insieme, un che di evocativo. Muoversi in quest’ambito è come affidarsi a reperti del tempo andato per raggiungere una nuova forma della realtà, come appoggiarsi al passato per farne una calamita dai magici poteri, un apparecchio che dal dissimile
può ricavare un'unità creativa.
Immaginiamo l'artista alle prese con i suoi pensieri e i suoi tormenti in un ritiro solitario, a colloquio con i ricordi e tutto ciò che la luce gli trasmette, lo vediamo prendere nota del segreto trascolorare delle cose fino a rendere tangibile la vita solo remoto gli occhi chiusi, e dare quindi sostanza a forme avvistate ora in un paesaggio remoto, ora nell'invaghita trasparenza di una foglia. Il suo fare è diventato un moto rituale, una somma di colori e tasselli, di tarsie che corrispondono a un lungo tratto dell’esistere. Pittura, scultura, espressioni di un recupero variegato della propria vita, un rapporto con la creatività sempre mantenuto cori intensa passione. Le opere che ha realizzato formano la processione di un lavoro iniziato una quarantina di anni fa quando, superate le ingiunzioni del precostituito e le espressioni di chi amava indugiare nell'autoreferenza, prese a considerare talune valenze cubiste quale effetto di uno svolgimento cromo-geometrico con conseguenti riverberi luminosi e scansioni materiche inquadrabili in un'accezione orfica, riconducibili ad esempio ad autori quali Robert e Sonia Delaunay; comunque un esercizio svolto in base a una particolare indagine sull'espressività del colore e della materia, un'autonoma, per certi versi spontanea maniera, dunque un effetto svincolato da ogni struttura dogmatica. Così, col trascorrere del tempo, l'arte è diventata per lui una rapsodia di luoghi e di situazioni da reinventare con l'impiego di materiali diversi, una gamma che si è via via allargata per giungere a un assemblaggio tipo atlante dell’immaginifico grazie all’innesto di reperti naturali, schegge di metallo, foglie, mattoni, chiavistelli, pietre conficcate in spalliere di vecchi letti, porte dai colori memori di lontane aristocrazie, opere dove pigmenti e venature dovevano sottendere tramandi di stati esistenziali.
Artista defilato, ma non per questo assente dal dibattito culturale o estraneo al trasmutare dei linguaggi, con le sue tavole ha sempre inteso, e intende, dimostrare la permanenza del passato nel presente, l'assicurazione cioè che la labilità del tempo possa decantarsi in simboli tangibili. Facendo del legno e delle idee formule evocatoci di eventi trascorsi, si ostina a modellare i pensieri trasformando la memoria m sentimento dell'oggi. Ci sono pagine che sfoglia con più emozione, quelle che gli fanno credere di potersi imbarcare da un momento all'altro sull'astronave che porta all'utopia, sul convoglio spaziale diretto a un Mare della Tranquillità che la nostra corrosa abitudine non ci fa più vedere. Tra le pagine di questo lungo racconto un capitolo sembra assumere valore aggiunto, è quello che riporta al periodo trascorso in Africa qualcosa che ha segnato profondamente il suo animo. Rammenta tutto e nel ripasso di ogni istante è come se trattenesse il pensiero tra sistole e diastole della suggestione. Ama ripassare la magia di certi momenti, soprattutto il tratto, brevissimo, in cui la luce del giorno viene traghettata verso la notte.
"Per pochi secondi un silenzio che aveva dell'assurdo avvolgeva la terra, tacevano anche gli animali mentre la luce calava al di là dell'arco celeste" Giovanetti ha racchiuso in un suo ideale contenitore i giorni dell’Africa, lo ha fatto prima che ogni visione cadesse in prescrizione. Ne è nato un resoconto fatto di segni veloci, di arabeschi, fino a tavole e tavole su cui ha declinato riti e misteri, e dove smalti e inserti materici si succedono come scritture imbevute di meraviglia.
Ora i percorsi inventati da Giovanetti sono piastre con incisi reticoli lucenti in grado di dare la misura di un orizzonte tra il rosso delirio di un tramonto e la profondità di un cratere lunare invaso dal nulla. Nella realizzazione dei lavori passaggi del vivere e ricordi si affastellano su un piano dove i pensieri giocano a dadi con il tempo, Piastre, così l'artista ha battezzato i suoi ultimi elaborati, tavole e tele che sono la conferma di come tutto ruoti attorno alle emozioni di sempre, di come sia fatale il passaggio delle cose che se ne vanno per poi riapparire secondo uno svolgimento vichiano che coinvolge fortemente Giovanetti, il quale proprio sulle piastre incide i temi di un passato che torna. I luoghi dell'utopia sono mobili, costitutivamente imprendibili; per questo, se dal gioco dei dadi non escono i numeri giusti, si rischia di vivere in uno stato di allucinazione perenne. L'alea, il senso dell'imprevisto, il fascino di scoprire l'altra faccia delle cose, motivi che accompagnano da sempre l'artista suscitando in lui sintomi di struggente stupore. Pittura e scultura sono componenti di un unico sortilegio che egli vive con la consapevolezza di chi vorrebbe che l'arte avesse i caratteri di una festa infinita. Chissà, forse potrebbe essere così, di certo l'espressione poetica ha un fondo inesauribile. Per dirla con Chesterton, l'arte ti accompagna nella vita e ti fa dire, "sono diventato vecchio senza annoiarmi".

Franco Basile
 

Nato a Bologna nel 1932 Mario Giovanetti ricorda col suo fare la figura di un artigiano-demiurgo.
Da ragazzo, dopo la scuola, andava da un intagliatore di legno ad imparare non tanto il mestiere,
quanto la magia della trasformazione e il mistero che ai suoi occhi si annidava tra le venature della
materia.
Un faber-artista, è stato definito, comunque non un semplice esecutore delle proprie intuizioni, pur
dalla tecnica sopraffina, ma lo sciamano che sa convogliare influssi e risorse del cosmo nel proprio
gesto e realizzare, tra pittura e scultura, opere sostanziate dalla suggestione.
Ecco il perché del sentimento che lo lega agli elementi di cui si serve.
Anzitutto il legno che definisce vivo, “Qualcosa che rimane vivo per sempre; io entro in lui, io sono il legno”. Ma anche il ferro, i frammenti di erpici, il gesso, le reti di cotone, i brandelli di sacchi, i colori.    |
E’ come un processo di appropriazione intimamente implicata con culture diverse, come quelle
dell'Asia, dell'Africa e dell'America, di gente con cui Giovanetti è entrato in contatto durante i
suoi numerosi viaggi.

HANNO SCRITTO E PARLATO DI LUI
Alberico Sala, Alberto Pierucci, Andreina Bergonzoni, Antonella Lippo, Antonio Caggiano, Arrigo Levi, C.Federico Teodoro, Claudio Spadoni, Cristina Sfrisi, Daniela Bellotti, Eugenio Riccòmini, Franco Basile, Franco Farina
Franco Patruno, Franco Solmi, Gabriele Turala, Gabriella Pirazzini, Giorgio Celli, Giorgio di Genova, Giorgio Ruggeri, Giuseppe Marchiori, Graziano Campanini, Gregorio Scalise, Laura Facchinelli, Laura Vallini, Lino Cavallari, Loretta Mozzoni, Luciano Caramel, Marcello Venturosi, M.Grazia Almieri, MariaGrazia Villa, Marilena Pasquali, Mario Guidotti Maurizio Garuti, Nino D'Antonio, Paolo Rizzi, Pietro Bonfiglioli, Renzo Federici, Roberto Pasini, Silvia Evangelisti Tommaso Paloscia, Vito Aculeo.

PRINCIPALI RASSEGNE
Studio Inquadrature Firenze, Galleria comunale d'arte moderna di Ancona, Galleria Civica d'arte contemporanea di Gallarate, Galleria d'arte contemporanea del comune di Taranto, Centro Lo Zahir di Napoli, Studio Inquadrature Firenze, Palazzo dei Diamanti Ferrara, Galleria Due Torri Bologna, Accademia Pontano di Napoli, Pinacoteca Civica di Pieve di Cento, Galleria La Loggia di Bologna, Casa di Giorgine C.Franco Veneto, Arco di Madrid 1985 di Basilea, Fiac di Parigi, Art Colonia di Colonia, Los Angeles al Museum of California, State College Bakersteld, Centro d'Arte San Vidal di Venezia, Palazzo Reale di Napoli, Kriterion Milano, Galleria L'Incontro di Imola, Galleria Civica di Cento, Biennale Bologna, Galleria Civica di Bondeno, Galleria Civica di San Giovanni in Persiceto, Galleria Civica di Jesi, Galleria del Popolo a Mirandola, Gand di Belgio, Galleria delle Arti Bologna, Cassero Senese Grosseto, Istituto di Cultura Csa G.Cini Ferrara, Castello Bentivoglio Bazzano, Galleria San Ludovico Parma, Galleria Carbone Ferrara Galleria d'Arte Moderna "Aroldo Bonzagni" Cento Ferrara.
 




La Galleria d’Arte Moderna ‘Aroldo Bonzagni’ riaprirà il 14 novembre 2009 alle ore 17.00

La Galleria d'Arte Moderna "Aroldo Bonzagni" rimarrà chiusa per allestimenti e riaprirà il 14 novembre 2009 con l'inaugurazione di due mostre: "Le Divine Commedie" di Franco Morelli alle ore 17.00 (piano superiore) e "Piastre dell'illusione" di Mario Giovanetti alle ore 18.00 (piano inferiore)




LE “DIVINE COMMEDIE” DI FRANCO MORELLI

LE “DIVINE COMMEDIE” DI FRANCO MORELLI  a cura di Gianni Cerioli
14 novembre 2009 – 6 gennaio 2010

Mostre e incontri sull’arte di Franco Morelli e sul mondo della Divina Commedia di Dante Alighieri in occasione di una donazione di opere di grafica

dal 14 novembre 2009 ore 17.00 Galleria d’Arte Moderna “Aroldo Bonzagni”, Palazzo del Governatore (Piazza del Guercino, Cento – Fe)
dal 21 novembre 2009 ore 17.00 Museo d’Arte Moderna “Sandro Parmeggiani” (Via di Renazzo 52, Renazzo – Fe)

Sabato 14 novembre 2009 (ore 17.00) presso la Galleria d’Arte Moderna “Aroldo Bonzagni”, Palazzo del Governatore (Piazza del Guercino, Cento – Fe) si inaugura la mostra Le Divine Commedie di Franco Morelli, evento di apertura del progetto tutto dedicato alla Divina Commedia a partire dalle illustrazioni di Franco Morelli.
Il progetto, che si chiude il 6 gennaio 2010, ha in programma due mostre e una serie di incontri sulle tematiche dantesche e sull’arte di Morelli, che alla Divina Commedia dedicò oltre un trentennio della sua attività artistica.
La mostra antologica Le Divine Commedie di Franco Morelli è una selezione di alcune delle tavole tratte dalle diverse serie di illustrazioni della Commedia, che Morelli ha prodotto a partire dagli anni ’60 ed è curata dal critico d’arte Gianni Cerioli e organizzata in occasione della donazione di tutto il fondo riguardante la Divina Commedia che la signora Anna Luisa Bianchi, vedova Morelli, fa alla Galleria d’Arte Moderna di Cento.
L’esposizione è corredata dal catalogo, edito da Longo di Ravenna, che viene presentato contestualmente all’inaugurazione presso la Sala F. Zarri del Palazzo del Governatore. Sono previsti gli interventi di: Daniele Biancardi, Assessore alla Cultura del Comune di Cento, Anna Luisa Bianchi, vedova dell’artista che motiva le ragioni della donazione, il curatore della mostra Gianni Cerioli, Roberto Roda del Centro etnografico del Comune di Ferrara e il critico d’arte Lucio Scardino.
La mostra, patrocinata dall’Assessorato cultura del Comune di Cento, con la collaborazione del Centro Etnografico del Comune di Ferrara, prosegue fino al 13 dicembre 2009.

Franco Morelli nasce a Ferrara il 28 agosto 1925 da una famiglia di modeste condizioni economiche. A pochi anni di vita viene colpito dalla poliomielite, che compromette in modo permanente l’uso della mano destra. Mostra comunque una precoce disposizione per il disegno, che esegue con la sinistra. A sei anni perde il padre, il nonno si prende cura di lui e di suo fratello minore sino al 1938, anno della sua morte. Morelli può frequentare solo per un anno il Civico Istituto d’Arte “Dosso Dossi” di Ferrara, ma pur lavorando continua la sua educazione artistica. Nell’ottobre del 1945 fonda a Ferrara il C.A.D. (Circolo Artisti Dilettanti), con cui realizza mostre e conferenze ed espone in diverse collettive. Nel 1946 fonda una sezione del C.A.D. a Cento. Soltanto nel 1951 organizza la sua prima personale. Agli inizi degli anni Sessanta interrompe ogni forma di contatto con il mondo artistico ferrarese, a causa di dissapori ed incomprensioni. Continua in privato a dipingere e ad illustrare opere diverse, ben determinato a non presentare mai più in pubblico le sue opere. Dagli anni Sessanta inizia ad illustrare la Divina Commedia, della quale realizza varie serie con diverse tecniche. Muore nel 2004.
La Divina Commedia è l’opera sulla quale Morelli è tornato in continuazione a lavorare. La sua realizzazione è il punto vitale della sua arte di illustratore. Dal 1961 al 1996 si susseguono diverse serie, che alternano la penna a sfera alla matita, la china o le chine colorate alla tempera e all’olio.
La Divina Commedia è stata per Morelli il grande work in progress della sua vita, l’opera che ha segnato la sua maturità di illustratore, quella che alla fine lo ha portato fuori da ogni possibile dilettantismo. L’uso della matita e soprattutto della penna biro diventa predominate: nera, blu oppure rossa, la penna BIC diventa un modo per continuare l’esercizio della mano e garantire la fluenza ininterrotta di un pensato.
Per far conoscere la cospicua opera di Franco Morelli, che lavorando nel silenzio del suo studio e non esponendo mai il risultato della sua fatica, è rimasto volutamente sconosciuto al mondo dell’arte ufficiale, la moglie dona l’intero corpus riguardante la Divina Commedia alla Galleria d’Arte Moderna. La donazione è vincolata alla conservazione, alla tutela, alla promozione dell’artista e delle sue opere, attraverso mostre periodiche e cataloghi, e all’esposizione di almeno una sua opera nelle sale permanenti della Galleria.

Sabato 21 novembre 2009 (ore 17.00) presso il Museo d’Arte Moderna “Sandro Parmeggiani” (Via di Renazzo 52, Renazzo – Fe) inaugurazione della seconda mostra dedicata all’artista scomparso Franco Morelli: Inferno e Purgatorio nella serie illustrata del 1982 – mostra di illustrazioni a penna biro, che prosegue fino al 6 gennaio 2010.
In questa seconda mostra è possibile ammirare in particolare le illustrazioni della Divina Commedia create nel 1982. Morelli dopo aver sperimentato le tecniche ad acqua, ritorna all’uso della penna biro nera che diventa esclusivo nelle serie successive. La mostra di Renazzo intende offrire allo spettatore la visione completa di almeno due cantiche, Inferno e Purgatorio. Questa serie è importante in quanto propedeutica, dal punto di vista ideativo e formale, a quelle successive. Le tavole sono incorniciate quattro a quattro su cartone pesante.

Il progetto è corredato da diverse conferenze dedicate al lavoro del sommo poeta e all’opera di Morelli.
Martedì 17 novembre (ore 17.30) presso la Sala F. Zarri del Palazzo del Governatore di Cento il critico letterario e saggista Gardenio Granata propone la Lectura Dantis dal titolo “Frate, lo mondo è cieco, e tu vien ben da lui”: Marco Lombardo e Dante tra influenze astrali e libero arbitrio in Purgatorio XVI. La conferenza è in collaborazione con il Liceo Classico “G. Cevolani”.
Sabato 21 novembre (ore 10.00) presso la Biblioteca Civica Patrimonio Studi di Cento una conferenza per le scuole su Il libro di Dante dal manoscritto al libro a stampa, che ha come relatore la dottoressa Marisa Boschi Rotiroti. La conferenza è in collaborazione con ArteCento.
Venerdì 27 novembre (ore 21.00) presso la Sala Consulta Civica di Renazzo il curatore delle mostre professor Gianni Cerioli presenta Le Divine Commedie di Franco Morelli. Alla conferenza segue una visita guidata alla mostra nel Museo “S. Parmeggiani” di Renazzo. In collaborazione con ArteCento e Associazione Amici del Museo Parmeggiani.
Domenica 29 novembre 2009 (ore 17.00) alla Galleria d’Arte Moderna “A. Bonzagni” Palazzi di pietra e memorie di carta: ciclo di visite guidate gratuite al patrimonio monumentale, museale, librario e archivistico del Comune di Cento. A seguire una visita guidata alla mostra“Le Divine Commedie di Franco Morelli” (partecipazione gratuita. Prenotazione obbligatoria all’ufficio IAT – InformaTurismo)
Mercoledì 2 dicembre (ore 17.30) presso la Sala F. Zarri del Palazzo del Governatore la critica d’arte e curatrice dell’ultima Biennale di Venezia, Beatrice Buscaroli presenta Atelier Dante. La Commedia e i suoi artisti. In collaborazione con Associazione Amici della Pinacoteca Civica di Cento e ArteCento
Mercoledì 9 dicembre (ore 17.30) presso la Sala F. Zarri del Palazzo del Governatore il critico d’arte Lucio Scardino propone il tema La Divina Commedia e gli artisti ferraresi dal ‘900. In collaborazione con Associazione Amici della Pinacoteca Civica di Cento e ArteCento.

Presso la Biblioteca Civica Patrimonio Studi di Cento (Via Ugo Bassi, 58), inoltre, si tiene Dante di carta, mostra bibliografica sulla figura di Dante e le sue opere (21 novembre – 7 dicembre 2009).

In occasione delle mostre di Morelli, inoltre, l’Assessorato alla Cultura del Comune di Cento organizza per le scuole del territorio alcune visite guidate in Galleria d’arte moderna e laboratori didattici interattivi sviluppati sulle suggestioni delle opere dell’artista. Per le scuole primarie di primo e secondo grado dopo la visita all’esposizione, viene proposto un laboratorio dal titolo “Alla scoperta della Divina Commedia di Franco Morelli”, con l’obbiettivo di far conoscere ai ragazzi le illustrazioni di Morelli e delle tecniche da lui utilizzate.
Per le scuole superiori i temi affrontati nel laboratorio saranno: La Divina Commedia e Franco Morelli. Suggestioni, debiti, rimandi stilistici, la Divina Commedia di Dante Alighieri e la sua influenza nell'arte pittorica europea e Dante riletto da Morelli.

Gianni Cerioli




Omaggio a GALILEO CATTABRIGA a cura di Daniele Biancardi

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TRE SEDI ESPOSITIVE:

COMUNE DI CENTO Assessorato alla Cultura
Collezione Sabbioni
19 dicembre 2009 • 7 marzo 2010

orari: venerdì, sabato, domenica e festivi 10.00 – 13.00 e 15.30 – 18.30

Inaugurazione sabato 19 dicembre 2009, alle ore 17.00 – Palazzo del Governatore Cento

 

COMUNE DI BONDENO Assessorato alla Cultura
Collezione Civica
20 dicembre 2009 • 28 febbraio 2010

orari: sabato 15.30 – 18.30, domenica e festivi 10.30 – 12.30 e 15.30 – 18.30

Inaugurazione domenica 20 dicembre 2009, alle ore 17.00 – Pinacoteca Civica Bondeno

GALLERIA del CARBONE
Collezioni private
6 – 31 gennaio 2010

orari: tutti i giorni 17.00 – 20.00 sabato e domenica 11.00 – 12.30 e 15.30 – 18.30

Inaugurazione mercoledì 6 gennaio 2010, alle ore 17.00 – Galleria del Carbone Ferrara

 

Omaggio a GALILEO CATTABRIGA

Galileo Cattabriga è stato uno dei più grandi pittori ferraresi del Novecento. Dopo aver studiato a Ferrara sotto la guida di Angelo Longanesi Cattani (fino ad ora questa prima parte della formazione artistica di Cattabriga era poco conosciuta e viene sviluppata nel presente catalogo grazie alle ricerche di Antonio P. Torresi), e poi a Venezia con il maestro Ettore Tito, inizia negli anni Trenta la frequentazione degli illustri intellettuali ferraresi (Bassani, De Pisis, Funi, ecc.).
A Parigi nel 1937 viene premiato con la medaglia d’oro alla Mostra Universale, e lì vede gli impressionisti e i post-impressionisti e li assimila come se li avesse ritrovati sulla sua strada (a cogliere questo aspetto è stato Claudio Savonuzzi che di Cattabriga era grande amico).
Comincia ad esporre in tutte le città artistiche italiane ma decide di non spostarsi da Bondeno, dove in continuazione racconta il suo mondo contadino fatto di campi, di case, di fiumi, di maceri, di fiori, oppure di montagne quando andava in vacanza o di scorci della Senna e di Notre Dame quando ritornava a Parigi per cercare il suo poeta preferito, Baudelaire, scambiando i suoi quadri con ciò che gli serviva per vivere.
Nel 1977, pochi anni dopo la sua morte, il Comune di Bondeno insieme alla Provincia di Ferrara inaugurano la restaurata Rocca Possente di Stellata con una antologica che verrà successivamente ospitata al Palazzo dei Diamanti di Ferrara.
La stupenda sede ferrarese era allora diretta dal Maestro Franco Farina che intraprende l’opera di schedatura dei lavori di Cattabriga presenti nel suo atelier di Bondeno, rimasto intatto dopo la morte del pittore.
Alcuni anni dopo, e più precisamente in occasione del ventesimo anniversario della scomparsa, insieme ad Elisabetta Lopresti e allo stesso Franco Farina iniziamo la pubblicazione di tutti i taccuini di
Cattabriga; centinaia di schizzi, disegni preparatori, appunti che il pittore aveva raccolto dal 1940 al 1960.
Il lavoro così concepito si conclude nel 1993 con il V Taccuino e con la quinta mostra consecutiva su questi temi; tutte le esposizioni si sono tenute presso la Casa Società Operaia di Bondeno in quanto il Comune fino ad allora non aveva una propria sede espositiva.
Successivamente è stata poi predisposta la sede della Pinacoteca Civica che è stata dedicata proprio a Galileo Cattabriga.
Nel 1999, trentesimo anniversario della morte, decido insieme a don Franco Patruno e ancora a Franco Farina che è giunto il momento di “schedare” tutto il lavoro pittorico di Cattabriga, coinvolgendo i collezionisti
privati e le istituzioni pubbliche proprietarie di opere.
Le mostre e i cataloghi conseguenti sono:
“Il volto e i volti. Ritratto ed autoritratto” del 1999, “Impressionismo e post-impressionismo” del 2001, “Dal volto al paesaggio” del 2004, “Le montagne” del 2007.
In questo lungo lavoro di documentazione ci sono stati accanto tanti amici e studiosi: oltre ai già citati Elisabetta Lopresti, Franco Farina e don Franco Patruno ricordo Marialivia Brunelli, Lucio Scardino, Giovanni Negri, Umberto Palumbo, Fabrizio Resca, Franco Guberti, Gianni Cerioli e Michele Govoni; li ringrazio tutti per aver saputo interpretare lo spirito di Galileo Cattabriga.

Daniele Biancardi

 
 
Il delicato paradosso: Galileo Cattabriga e la ricerca dello stile

 

Vi è, nella provincia di Ferrara, una caratteristica particolare: se si percorrono le strade che, dal capoluogo, portano
in direzione del forese, e, di qui, verso le province confinanti, ci si rende presto conto di come, dopo una fitta schiera di piccoli borghi e frazioni, si giunga presto a paesi più consistenti. Essi appaiono avere una propria identità, una popolazione più numerosa, un dialetto che differisce per molti tratti da quello parlato  in città, una storia che, spesso, si discosta da quella delle altre località della provincia e va, a tratti, mescolandosi con le vicende storiche delle province di confine.
Tra questi paesi spicca Bondeno, il paese che ha dato i natali a Galileo Cattabriga.
Personalità di rilievo e di spicco nella Ferrara artistica a partire dagli anni a cavallo tra la fine degli anni ’20 ed i primi anni ’30, Cattabriga ha rivestito un ruolo importantissimo nella diffusione e nella rilettura di uno stile pittorico vicino a quello dell'impressionismo di tradizione francese; ad esso, però, l'artista ha saputo associare una visione personalissima non solo della maniera espressiva legata alla tecnica pittorica tout court, ma anche e soprattutto un “modo di visione” della realtà che è tutt'altro che vicino al carattere icastico di molta
pittura a lui contemporanea.
Cattabriga propone un superamento della visione imitativa, tipicamente legata ad una dimensione artistica classica, per offrire una serie di contenuti paesaggistici, ritrattistici e di genere, ottenuti grazie ad una pennellata veloce ma attenta e ad un preciso studio delle luci.
Trovo, infatti, che ci sia, in Cattabriga, un chiaro indirizzo operativo che si muove nella direzione di uno studio preciso delle luci e dei suoi effetti sugli elementi del reale. La luce, elemento fisico fondamentale
alla visione e, quindi, necessario alla creazione artistica in generale ed al mondo impressionista in particolare, ritorna in Cattabriga giocando sull'insieme di pieni e di vuoti creati dalle pennellate
veloci e cromaticamente molto contrastate, quasi evocando le trine di immaginari merletti.
È proprio la luce che gioca il ruolo fondamentale di differenziazione dinamica tipica di una pittura rapida ed incisiva, la maggior parte delle volte evocata “en plein air”.
Che la luce, in arte, sia frutto di un'interpretazione offerta dall'occhio e dalla mano dell'artista (che, in questo caso, si trasforma in appendice esecutiva di una elaborazione ottico-mentale), resta un fatto assodato; l'evocazione del colore della luce (altro elemento di grande impatto nella lettura del reale da trasporre in pittura) avviene quasi
come per contrapposizione ed attrazione di elementi opposti: il tema, protagonista dell'opera, da una parte e le luci, i chiaroscuri, gli accenti cromatici e segnici, i dettagli appena accennati dall’altra.
Cattabriga mette in luce, così, un delicato ma interessante paradosso: da un lato si pone in una dimensione che sfrutta la descrizione pittorica fatta per piani cromatici e pennellate intense proprie dell'impressionismo
di carattere originario; al tempo stesso, però, tende a volerne superare le tendenze, grazie ad un linguaggio originale e personalissimo.
Sulla scena dell’arte ferrarese degli anni ’30 e ’40, Cattabriga si concentra su di un’affermazione del proprio linguaggio che, in relazione ad un’espressività legata ad un cromatismo acceso e ad un tratto potente e vivace, si trasforma in vero e proprio manifesto artistico; sempre attento a rappresentare luoghi particolarmente legati alla sua vita (sia che si tratti della campagna ferrarese, sia che si tratti delle
amate montagne lombarde o piemontesi) Cattabriga ne riassume la sostanza figurale senza mai concedere spazio ad inutili sentimentalismi ed, anzi, soffermandosi, in maniera piuttosto equilibrata, sulla
tematica fondamentale dell’opera.
Fortemente apprezzato dai contemporanei, da alcuni di quella “crème del Novecentismo locale” (come l’ha definita Lucio Scardino) * e composta da Achille Funi, Mimì Quilici Buzzacchi, da Carlo Crispini e da Arrigo Minerbi, ma anche dalla stampa locale (quando ancora si occupava continuativamente e seriamente di arte), Cattabriga trova un referente importante anche in quel Filippo De Pisis che tanta fortuna stava avendo in Italia ed in Francia.
Pur potendo, però, trovare diversi e numerosi punti di contatt tra la pittura del “nostro” bondenese e quella del “marchesino”, non vi sono testimonianze dirette di un’effettiva “famigliarità” tra i due caratteri espressivi.
Cattabriga è sicuramente legato ad un modo di fare arte che è più evocativa che definitivamente accademica. Tranne nei ritratti.
Vi è, nell’artista bondenese, un modo piuttosto classico di affrontare il tema del ritratto; per lo meno nelle sue accezioni iniziali.
Vi è, infatti, un ché di nostalgicamente illustrativo nelle opere ritrattistiche di Cattabriga.
A questo tratto, però, egli accompagna una lettura sempre personale che se, da un lato, sottolinea l’elemento estetizzante dell’opera, dall’altro offre quella lettura psicologica del personaggio rappresentato che è prerogativa se non necessaria, almeno plausibile.
Cattabriga dà l’impressione di aver voluto porsi sulla scena artistica locale (ma anche nazionale – diverse sono le sue partecipazioni a mostre e ad eventi di portata nazionale ed internazionale) non tanto come un emulo di un linguaggio affermato come quello impressionista o post-impressionista, quanto, piuttosto, come forte innovatore del linguaggio pittorico legato a tematiche trattate tutt’oggi dalla pittura.
Il risultato è quello di un perfetto descrittore ed interprete di una realtà che, nonostante affondi le sue radici in un passato che, giorno dopo giorno, si fa remoto, torna a parlarci con voce chiara pennellata dopo pennellata.

Michele Govoni

 

Mostra e catalogo a cura di: Daniele Biancardi
Altri testi critici in catalogo di: Lucio Scardino, Antonio P. Torresi
Fotografie: Patrizio Grechi
Hanno collaborato: Cinzia Bianchini, Massimo Bastasini, Mauro Melloni, Marco Vitali, Fausto Gozzi e Anelita Tassinari

Edizioni “Liberty house”




BORGHESE cinque lustri d’ironia graffiante a cura di Francesco Pasini

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Un doveroso omaggio ad un Maestro che lasciato un segno importantissimo nel panorama artistico europeo e non solo.
Dopo la sua morte, avvenuta nel dicembre 2005, le opere hanno raggiunto quotazioni molto elevate mentre è ormai quasi impossibile reperire pezzi unici da esitare sul mercato pur essendo stato un Artista molto prolifico; i possessori le conservano gelosamente, mentre le poche opere passate in asta dopo la scomparsa dell'Artista hanno sempre ottenuto una interessante gara di aggiudicazione.
Una mostra composta da oltre settanta opere fra oli, disegni e sculture attentamente selezionate che racchiudono un percorso di alto valore artistico e sociale.
Siamo certi di offrire, ai graditi visitatori, la magia artistica di un grande maestro ..

Arstudio

 BIOGRAFIA

1941
FRANZ BORGHESE nasce a Roma il 21 gennaio.

1957
Preparato per l'esame di ammissione dall'architetto Maurizio Sacripanti, si iscrive al Liceo Artistico di Via Ripetta. Tra i suoi insegnanti ci sono Domenico Purificato, Giuseppe Capogrossi, Umberto Maganzini, Giulio Turcato. Comincia a dipingere. Trova su una bancarella iiI/Dizionario Filosofoco /I di Voltaire.

2005
Il 16 dicembre, alle ore 21.00, improvvisamente, muore a Roma nel suo studio di via della Seggiola.

 

MOSTRE PUBBLICHE

1974
Pescocostanzo: Palazzo Fanzago
1975
Perugia: Palazzo dei Priori
1984
Fiuggi: Comune di Fiuggi
1986
Roma: Castel Sant'Angelo
1992
Roma: Palazzo Braschi
Alghero Torre Museo
1993
Sassari: Teatro Civico
1994
Civita di Bagnoregio: Civit' Arte
1999
Aosta: Tour Fromage
Otranto: Castello Aragonese
2000
Viareggio: Villino Boilleau
Venezia: Palazzo Scoletta dei Battioro San Stae
2002
Massa: Castello Malaspina
2003
Comune di Piancastagnaio, Siena – Rocca Aldobrandesca
Caserta: Sala Bianca Reggia di Caserta
Città di Acqui Terme: Palazzo Robellini
2004
Viterbo: Palazzo dei Papi
2005
Roma: Palazzo Venezia Refettorio Quattrocentesco Mostra antologica
Bagnocavallo: Centro culturale "Le Cappuccine"
Franz Borghese – Antologia di opere 1970-2005
Scuderie Palazzo Moroni, Padova

 Io canto per consumare l'attesa –
allacciare la cuffia, chiudere la porta di casa,
non mi resta nient'altro da fare,
fin quando, all'avvicinarsi del suo passo finale,
viaggeremo verso il Giorno raccontandoci di come abbiamo cantato
per tenere lontana la Notte.
Emily Dickinson (1864)

Ora che l'avventura terrena di Franz Borghese si è conclusa, lasciando un vuoto incolmabile e tanti rimpianti, ora che abbiamo perso un amico, compagno di una lunga strada, ora che lui non c'è più, il suo spirito seguita a vivere nelle sue opere.
È finita la "familiarità" della frequentazione, dei viaggi a Parigi, Vienna, Madrid, sempre affamati di Pittura e, quindi, sempre a visitare i grandi musei di quelle città.
È finito il tempo di Natale, Pasqua e Ferragosto, trascorsi insieme a Capalbio con Barbara, dove lui, innamorato del suo lavoro, seguitava a dipingere nel piccolo studio sempre affumicato dalle tante, tantissime sigarette che fumava, per raccontarci con i suoi dipinti le tante storie così avvincenti e singolari.
Sono finite le lunghe chiacchierate sull'Arte, la vita, la famiglia; gli scontri letterari e quelli sulla pittura: Villon si, Pessoa e Borges no; De Chirico si, Guttuso no; Turcato si, Schifano no; Vangelli si, Dorazio no; Hieronymus Bosch si, lui sempre si; le conversazioni sulla politica e sulla società, che lui non amava molto, come si percepisce dalle sue opere. Nei suoi simili trovava pochi pregi e molti difetti, anche se nel suo grande cuore affiorava sempre una "pietas" che gli faceva abbracciare questo mondo così assurdo.
Ora che lui non c'è più, in noi, resta la ricchezza di tanta vita vissuta insieme ad un uomo fuori dal comune, ad un Artista sensibile e profondo.
In questo volume, che pensammo e iniziammo insieme, nel quale sono raccolte e documentate opere che abbracciano l'arco temporale che va dal 1970 fino al 2005, anno della sua scomparsa, è il riassunto del percorso artistico di questo grande Pittore che tanto interesse e tanto amore ha saputo suscitare in un pubblico vastissimo sia in Italia che all' estero.
L'uomo non c'è più e forse per questo vediamo con occhi nuovi i suoi dipinti, i suoi disegni, le sue sculture, e le testimonianze di una critica attenta e qualificata assumono un nuovo significato.
Vogliamo credere che questo volume tanto pensato, tanto travagliato ed al quale tanto abbiamo lavorato, prima con lui e poi da soli, possa piacere a Franz Borghese quanto gli sono piaciuti i volumi che la nostra galleria gli ha dedicato nel corso di questi lunghi 35 anni di sodalizio.

ELIGIO E VITTORIA FULLI
Perugia, gennaio 2006

 





Ingresso in Galleria d’Arte Moderna ‘Aroldo Bonzagni’ durante il periodo del Carnevale

Solo nei sabati 6, 13, 20, 27 febbraio 2010 l'ingresso alla Galleria d'Arte Moderna "Aroldo Bonzagni" sarà gratuito.

Solo nelle domeniche 7, 14, 21, 28 febbraio 2010 l'ingresso alla Galleria d'Arte Moderna "Aroldo Bonzagni" sarà a pagamento con un biglietto di ingresso di euro 2,5 acquistabile direttamente in sede.

 

Nei sabati 6, 13, 20, 27 febbraio e nelle domeniche 7, 14, 21, 28 febbraio 2010:

I gruppi organizzati da agenzie di viaggio, tour operator e associazioni del tempo libero e dopo lavoro, accompagnati da una guida turistica, possono accedere gratuitamente alla Galleria d'Arte Moderna "Aroldo Bonzagni" esibendo il biglietto omaggio emesso dall'Ufficio Iat

I singoli visitatori possono acquistare preventivamente presso l'Ufficio Iat un biglietto da euro 4 che consente loro un percorso guidato alla Città di Cento.

Fax 051 6843120

informaturismo@comune.cento.fe.it

 




Sabato 10 aprile 2010, ore 17.00 si inaugura la personale antologica ‘Ugo Guidi’ a cura di Franco Basile

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 UGO GUIDI

Nato a Comacchio nel 1923, ho trascorso l’infanzia a Ferrara dove la famiglia mi portò quando avevo tre anni. La prima abitazione fu in via Frescobaldi a fianco di una caserma di artiglieri a cavallo. Di fronte vi era una villetta borghese da cui quotidianamente veniva ripetuto il brano di Puccini "Un bel dì vedremo".

Un piccolo balconcino era il mio osservatorio; qui accorrevo al fragore sull’acciottolato dei carri militari o del carro funebre diretto a un deposito dopo un mesto trasporto. ln questa città ho avuto le prime emozioni dalla musica. Durante le abituali passeggiate pomeridiane con mia madre, verso l’ora del crepuscolo, sovente nelle contrade risuonava cadenzato il motivo della marcia funebre di Sigfrido: giungeva da un corteo che accompagnava all’ultima dimora un defunto della nobiltà. Ricordo il grigio livido dei volti dei cocchieri che sbucavano sotto ampie feluche e giubbe nere strette al collo da tanti alamari.

Le note cupe e martellanti rimbalzavano tra i muri delle basse case; appena mia madre udiva questi lugubri toni mi afferrava per mano e quasi impaurita mi trascinava per allontanarmi.

Ho poi sempre accolto quella musica con brividi di dolce sofferenza.

Il Montagnone, la Darsena, erano le mete domenicali con mio padre e un suo amico pittore per fare qualche studio. Io ero soltanto osservatore anche quando mio padre, tanto appassionato alla pittura, organizzava con l’amico serate di studio alla luce di una “solare”. Avrò certamente fatto le bizze per andare a letto, ma era tanta l’attrazione che mi sollevavo sulla punta dei piedi per osservare gli “oggetti modello” e confrontare questi alle forme che venivano espresse su quelle tavole di compensato.

Così in casa c’era già l’atmosfera, gli odori e gli strumenti che alimentavano la mia interna passione. I libri erano rari, più accessibili le cartoline dei capolavori, e mio padre conservava le pagine dedicate alla pittura dell’unico rotocalco a colori, “Il mattino illustrato”. I giganti d’allora mi facevano sognare. Antonio Mancini era tra i più ampiamente rappresentati, poi Gemito, Boldini, Michetti, De Nittis, Favretto ecc..

Non so come dopo tante vicissitudini, guerra, traslochi, sfollamenti, sia riuscito a conservare ancora una copertina di notiziario dell’EIAR che riproduce in seppia il ritratto di Boldini che raffigurava Verdi col cilindro: connubio emblematico del nostro Ottocento. Già tra i doni apparivano piccole scatole di matite colorate e minuscole tavolozze di cartone con incollati sopra discoidi di pietrosi e opachi acquerelli.

Un bel giorno approfittando d’esser solo in casa mi impossessai della scatola dei colori di mio padre. Gli odori di olii e resine mi inebriarono e realizzando il mio sogno pasticciai su una tavolozza mettendo a soqquadro pennelli e tubetti. Questa mia trasgressione che fece infuriare mio padre, tanto ordinato e geloso dei suoi arnesi, servì a richiamare l’attenzione dell’amico pittore. Così pian piano si convenne che, se fossi veramente rimasto sempre di questa idea, un giorno sarei stato avviato al Liceo artistico di Bologna. Il trasferimento della famiglia, per ragioni di lavoro di mio padre, mi facilitò, ma i tempi di studi che mi separavano dalla prova di ammissione al liceo furono noiosi e interminabili.

Ecco finalmente superate le prove, ma con la tremarella perché Pizzirani, durante gli esami, sorvegliava alle spalle ed esprimeva giudizi ad alta voce; se l’esaminando titubava nel comporre una tinta tuonava: “Cos’è quella broda di fagioli!”.

Svolgo regolarmente gli studi liceali, con lusinghiere segnalazioni, incoraggiamenti e premi. Sono ammesso al Corso di decorazione all’Accademia di Belle Arti, dove ebbi incontri con artisti pur sempre dell’Accademia ma non imposti dal corso: Protti, Tomba, Bertocchi, Drei, Cervellati e altri.

La guerra! Dolorosa interruzione degli studi: la mia abitazione a pochi passi dall’Accademia distrutta, mio padre la scampa per miracolo. Deve restare a Bologna per il lavoro, ma sistema la famiglia in campagna in un residuo di proprietà a San Giuseppe a cinque chilometri da Comacchio, dove resteremo per quattro interminabili anni. Paure, ruberie, violenze e sempre la nostalgia della mia scuola, dei miei amici che sentivo tanto lontani. È impossibile concentrarsi, segno qualche appunto a pastello e a matita.

Alcuni di questi modesti saggi sottoposti a Romagnoli e a Morandi mi procurano passaggi ad honorem. l collegamenti con Bologna sono difficili e travagliati fino alla cessazione delle ostilità.

Finalmente il ritorno agognato a Bologna, alloggiati in coabitazione tra ristrettezze e disagi, ma con tante speranze e il conforto di rivivere accanto ai maestri stimati.

Gradualmente, a piccoli passi, si riprende a vivere, si trova sistemazione in un piccolo appartamento al quartiere Bolognina, ove frequentemente venivano a trovarmi Protti e Romagnoli.

Riesco così a produrre le prime nature morte.

Mi affidano qualche opera di restauro, eseguo, su commissione, la copia del “Ritratto di architetto” di Luigi Crespi. Inizio anche l’attività ritrattistica. Faccio qualche comparsa nelle prime esposizioni sindacali. I miei amici mi seguono, mio padre, per favorire gli incontri con Protti, mi compra una bella bicicletta, così da via Franco Bolognese percorrendo altre strade (tutte intestate a pittori), si raggiungeva quel sentiero ameno che costeggiava il Canale Navile. Su un lato piccole basse case affiancate l’una all’altra e di tanto in tanto la chiusa. Per il suo aspetto d’insieme avevamo battezzato la zona “Olanda”. Protti si vantava della sua “fuori-serie”, cerchioni di legno, freno contropedale, e pur considerando superiore il suo velocipede ammirava la mia bici per la linea, e forse perché la tenevo sempre lucida e brillante.

Si faceva qualche sosta e adagiati sull’erba si commentavano vicende d’arte; talora Protti sfilava dalla sua giacca a vento pagine o ritagli di giornale ove qualche eroico critico denunziava scandali e mostruosità delle biennali. Le firme? Bartolini, Buscaroli, Borghese, Vigolo, Morelli.

La così detta Liberazione non aveva liberato l’arte da imbrogli e profittazioni: io dicevo con amarezza che dopo la burrasca erano rivenuti tutti ancora a galla.

Protti perde la salute e un male inesorabile lo finisce nel 1949. Con un gruppetto di amici si organizza, patrocinata dalla “Francesco Francia”, una mostra celebrativa.

Diplomato dall’Accademia resto in quella sede “assistente volontario” fino all’incarico per una cattedra al Liceo nel 1952.

Inizia così la mia carriera di insegnante, ininterrotta fino al 1982.

Nel 1952 mi viene affidato l’incarico di eseguire due pitture murali per il Palazzo delle Poste di Reggio Emilia. Bozzetti, studi, esecuzione, due anni di lavoro con qualche interruzione per ragioni di cantiere. Svolgo contemporaneamente gli impegni dell’insegnamento. Negli scampoli di tempo lavoro in studio prevalentemente coi pastelli che non danno tanti problemi come i colori a olio. Di questi anni sono le due pale d’altare per la chiesa di Cristo Re a Bolzano, la Santa Teresa in San Martino a Bologna, diversi cartoni per mosaici, nel 1958 quello per Monghidoro.

Nel 1951 ricevo la nomina di Membro dell’Accademia Clementina ed entro nel consiglio direttivo della “Francesco Francia”. Mazzocco, indimenticabile amico degli artisti, dopo insistenti e affettuose pressioni, mi convince a fare una personale a Milano. Interpella varie gallerie: scelgo la Gussoni per mostrare cinquanta opere (non in vendita). Mi preme soltanto avere giudizi e pareri da un ambiente in cui ero completamente sconosciuto. Accoglimento più che favorevole, si complimenta anche Carlo Carrà che esponeva di fronte, all’“Annunziata”.

Assieme all’amico Mazzocco mi dedico alla promozione di tutte le mostre che altri non avrebbero pensato. Intensa l’attività ritrattistica a cui si aggiunge negli anni Sessanta quella paesaggistica. Mi dedico con passione alla grafica provandomi in ogni tecnica. Matrici e stampe sono tutte di mia personale esecuzione. Attualmente ho risvegliato appassionanti interessi per la scultura.

Nel 1990 si tiene la prima mostra a Bologna alla Galleria Marescalchi. Sul finire del 1995, in occasione della pubblicazione di una mia monografia, espongo alcune opere in Corte Isolani. Altre esposizioni presso l’ente dell’Opera Pia, a Palazzo Ratta e a Palazzo Bellini (Comacchio).

Ugo Guidi

Il maestro Ugo Guidi morirà a Bologna il 24 dicembre 2007

Una rassegna postuma si è tenuta nel febbraio del 2008 a Parigi alla “Galerie de l'Europe”.

La Galleria PivArte di Bologna ha organizzato una mostra di Ugo Guidi sempre curata da Franco Basile dal 24  ottobre  2009  al 21  novembre  2009. 

 

 Nella rincorsa degli anni lo rivediamo in quelle stanze entro le quali costruiva, giorno dopo giorno, lembi di cielo da apparecchiare sulla cima delle colline. Aveva il tempo e tutte le compulsioni della memoria a portata di mano, il mondo gli entrava dalla finestra, cose e persone contrassegnavano le ore dell'atelier. Dal terrazzo coglieva i sobbalzi delle stagioni così come faceva quando, giovanetto, viveva con la famiglia in una zona di Bologna dove scorreva il canale Navile. Già allora, sull'onda di una stupita indagine, giocava sugli effetti di luce e ombra in rapporto a contrasti cromatici che gli offrivano un quadro del vero mediante riposate accensioni: un fare, che lo manteneva estraneo alla connotazione materiale della visione, ossia alle modalità di relazione con il referente reale. Erano gli anni Quaranta, la realtà sembrava scorrere lieve per farsi riprendere in pose multiple assieme a visioni che, nel riflettersi nell'acqua, assumevano aspetti inconoscibili …. 
L'ingranaggio dei giorni faceva scattare le sensazioni di sempre, il sole che nasceva e che moriva, il cielo stellato e l'aspettativa delle albe. E tra un ricordo e l'altro, ecco una delle ultime scene allestite con la complicità delle ombre che si allungavano dietro la finestra dello studio. Guidi sembrava voler censire le piante che attorniavano una scultura raffigurante una donna sdraiata. In lui, una piega lievemente amara si confondeva a un accenno di sorriso. Il sole stava calando ed era come se il tramonto fosse la sua proiezione fisica e mentale, il disegno di una parabola esistenziale sospinta verso l'epilogo. In lontananza, al di là dei colli, si levava un inno scarlatto che le nuvole palleggiavano in una prateria dalle purpuree estensioni. Fu il nostro ultimo incontro: in quel momento il pittore sembrava preso da pulsioni sotto traccia, come la filigrana di un'inquietudine accompagnata a una nascosta malattia di vita. 
 
Franco Basile 





La Galleria d’Arte Moderna Aroldo Bonzagni è chiusa per allestimento riaprirà il 2 aprile 2010

La Galleria d’Arte Moderna Aroldo Bonzagni è chiusa per allestimento riaprirà il 2 aprile 2010
nei seguenti orari:
Venerdì, Sabato, Domenica e Festivi
10.00 – 13.00 e 16.30 – 19.30
Martedì e Giovedì è possibile visitare
la Galleria d’Arte Moderna
dalle 9.30 alle 12.30 e dalle 15.00 alle 17.00
prenotando anticipatamente
la visita ai numeri:
IAT Informaturismo 0516843334
e Centralino Ufficio Cultura 051 6843390